Patrizio, architetto quarantaduenne di successo, aveva sempre cercato d’ accantonare il suo passato, come se non gli appartenesse, perché perennemente impegnato a inseguire il successo, fino a quando improvvisamente un ricordo, che credeva sepolto nelle sabbie mobili dell’ oblio, riaffiorò prepotentemente nella sua mente. Come se il passato, fosse tornato indietro e lo avesse afferrato per mano per condurlo indietro di tutti quegli anni.
Era un giorno d’ inverno, quando si mise a cercare delle vecchie fotografie da inserire nel suo profilo face book, ritrovando uno scoubidou che gli fece ricordare una sera particolare della sua vita passata e quasi incredibile, vissuta quando aveva vent’ anni.
Era il 1991, anno spartiacque della sua giovinezza, perché si era appena diplomato a pieni volti al conservatorio di musica di Pescara, e soprattutto perché aveva finalmente potuto coronare il suo sogno: visitare la “ville lumière”.
Era arrivato in autostop a Parigi con il suo zaino militare, il sacco a pelo, la chitarra e tanti sogni nel cassetto.
Appena sbarcato nella capitale francese, rimase incantato dalla Tour Eiffel, dalla Cattedrale di Notre Dame e soprattutto dal quartiere latino, dove prese una stanza in un piccolo albergo.
Dopo qualche giorno, purtroppo, i soldi che aveva risparmiato con tanta fatica si esaurirono ed ebbe la bella idea di pagarsi l’ agognata vacanza suonando la chitarra nei ristoranti e nelle pizzerie.
I clienti adoravano la musica italiana e fu proprio la sera in cui cantò al “ Café de Flore” a Saint- Germain- des- Pré s, locale che un tempo era stato frequentato da intellettuali del calibro di Jean- Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che Patrizio la incontrò per la prima volta.
Dopo l’ esibizione, che fu particolarmente gratificante perché i clienti che affollavano il locale avevano apprezzato la sua performance, vide una ragazza bionda molto giovane che sembrava volersi nascondere sotto i rami di un salice piangente.
Chitarra a tracolla, Patrizio si avvicinò alla donna per chiederle di accendergli una sigaretta, perché all’ epoca fumava come un turco ma, data la giovane età, non poteva neppure immaginare che mestiere esercitasse quella donna nel cuore della notte.
La giovane indossava una minigonna vertiginosa, degli stivali neri e una camicetta trasparente che lasciava intravvedere un seno acerbo e prepotente.
“Hai da accendere, per favore?”, le chiese Patrizio con gentilezza.
La donna lo guardò negli occhi con circospezione, come se non si fidasse della sua gentilezza, poi cercò nella sua borsetta color ocra una scatola di fiammiferi, l’ aprì, prese uno zolfanello e lo accese con un gesto di stizza.
Patrizio accese la sigaretta, aspirò profondamente il fumo, la ringraziò con un cenno della mano e, quando si stava allontanando, rimase sorpreso dalla richiesta della donna.
“Canteresti una canzone soltanto per me?”
Patrizio rimase sorpreso dalla richiesta della ragazza perché era la prima volta nella vita che una persona gli faceva una tale richiesta.
“Ti ho sentito cantare e mi piace il modo in cui hai interpretato le canzoni dei Pooh. È il mio gruppo italiano preferito!”
Poi gli porse la mano: “Piacere, a Saint-Germain- des-Prés tutti mi chiamano Pretty Woman”.
“Io mi chiamo Patrizio, piacere”, rispose l’ italiano con stupore.
Pretty Woman guardò il suo orologio da polso e, dopo aver visto l’ ora, gli disse con un filo di voce.
“Credo d’ aver terminato il mio lavoro per questa notte. Se vuoi, possiamo andare da me, così mi canterai “ Tanta voglia di lei”, quella è la mia canzone preferita”.
I due giovani s’ incamminarono verso l’ abitazione della ragazza in silenzio, come se nessuno dei due volesse infrangere la magia del momento. Arrivarono davanti ad un caseggiato tipico dei complessi abitativi parigini. Entrarono nello stabile e, quando arrivarono davanti ad una porta di legno massiccio, Pretty Woman la aprì con una chiave agganciata a uno strano scoubibou variopinto.
Un vecchio abat- jour, appoggiato su un comodino laccato, emanava una luce giallognola che illuminava la stanza e regalava all’ ambiente circostante una sensazione di piacevole calore.
Il letto era disfatto e le lenzuola erano arrotolate sul parquet, in mezzo ad una miriade di calze, indumenti intimi e calzature d’ ogni genere.
“Scusa il disordine, ma non ho mai il tempo di rifare il letto!”
Patrizio entrò nella stanza, appoggiò la sua chitarra sul parquet in noce e si sedette su una sedia di paglia traballante.
Appena entrata nella camera, la donna buttò letteralmente la sua borsetta in un angolo della stanza, si sedette sull’ orlo del letto, si levò la camicetta, la minigonna, si sfilò con nonchalance gli stivali, il reggiseno e le mutandine e scomparve dietro la porta della sala da bagno.
“Mettiti a tuo agio, nel frattempo io mi faccio una doccia!”, gli disse con una voce accattivante.
Patrizio era visibilmente a disagio, perché era la prima volta che vedeva una donna completamente nuda e la visione della sua conturbante bellezza lo turbò profondamente.
Cercò di strimpellare qualche nota con la chitarra per concentrarsi, ma il rumore dell’ acqua della doccia lo distraeva ulteriormente.
Dopo qualche minuto, che parvero un’ eternità, Pretty Woman apparve, avvolta in un enorme asciugamano bianco, con i capelli bagnati e un phon tra le mani.
Si avvicinò lentamente a Patrizio e gli chiese di asciugarle i capelli: era bellissima anche senza trucco.
Lui dovette fare uno sforzo immane per non svenire perché la fragranza del suo profumo era così intensa da confonderlo. Era così emozionato che si bruciò addirittura un dito con l’ asciugacapelli.
La donna si rese conto dell’ imbarazzo dell’ italiano, ma fece finta di niente per non metterlo ulteriormente a disagio.
“Cantami “Tanta voglia di lei”.
Patrizio cantò il componimento dei Pooh, mentre Pretty Woman lo guardava con i suoi meravigliosi occhi azzurri. Era giunto alle ultime note, quando si accorse che si era addormentata, accovacciata sul letto, come una bambina, stringendo dolcemente il cuscino.
Appoggiò la chitarra sul parquet e si apprestava ad andarsene quando la donna lo trattenne e gli disse con un tono di voce che non avrebbe più dimenticato.
“Non te ne andare, per favore! Rimani a farmi compagnia”.
Patrizio si levò le scarpe e si strinse a lei con una delicatezza sorprendente e disarmante.
“Ho voglia di coccole, stanotte…”
Rimasero abbracciati per tutta la notte. Verso mezzogiorno, quando Patrizio si svegliò e si apprestava ad andarsene, si accorse che il posto dove si era addormentata la giovane donna era vuoto e che c’ era un foglietto avvolto allo scoubidou colorato sul quale c’ era scritto:
“Non ho voluto svegliarti perché dormivi come un angelo. Ti regalo il mio scoubidou, ti porterà fortuna”.
Patrizio ripartì per l’ Italia per iscriversi alla facoltà di Architettura e conservò quel portafortuna per alcuni anni, poi, chissà per quale motivo, lo abbandonò in quell’ armadio, dove sarebbe rimasto nascosto per circa quarant’ anni.
Era stata quella, la più tenera notte della sua vita, in compagnia di una donna di cui non conosceva neppure il nome...