Gesualdo il pazzo era un trentenne solitario e taciturno. Lo chiamavano così perché il suo carattere, alquanto sui generis, non rientrava nei canoni tradizionali di quell'epoca.
Andava in escandescenza quando qualcuno lo prendeva in giro, ma era incapace di fare del male a una mosca. Era sostanzialmente un uomo buono, anche se tutte le persone che lo conoscevano erano convinte che fosse letteralmente pazzo. Tornava al paese soltanto la domenica pomeriggio, dopo una settimana di duro lavoro nei campi, entrava nel solito bar, ordinava un bicchiere di vino nostrano e osservava senza parlare e a debita distanza gli anziani che giocavano a tressette, a ramino o a scopa.
Indossava sempre gli stessi vestiti sgualciti e un po’ trasandati e fumava un sigaro che, a parere di molti, allontanava le persone. Era, come diremmo oggi, un borderline, ma il suo disagio psichico era più amputabile alla sua timidezza che a una vera e propria patologia. Nessuno lo aveva mai visto in compagnia di una donna e a nessuno era ovviamente venuto in mente di presentargliene una, almeno fino a quando nel febbraio del 1977, uno studente fuoricorso di nome Lucio gli parlò, per chissà quale motivo, della donna che avrebbe sconvolto la sua vita.
“La chiamano tutti Bocca di rosa ed è un vero fenomeno da baraccone! Riesce a soddisfare un intero battaglione di soldati senza battere ciglio. Conosce la psiche umana come le sue tasche e i sogni erotici di ogni cliente e riesce, come affermano i suoi più incalliti aficionados, a fare risuscitare anche i morti”.
Gesualdo rimase affascinato dalle parole e dall’ entusiasmo del giovane, anche se a dire il vero aveva ben capito che professione svolgesse la donna.
“ Quando arriva ad Amardolce, te la faccio conoscere”, gli disse Lucio con nonchalance.
Gesualdo non rispose, anche se i suoi occhi si rallegrarono all'improvviso.
Il suo arrivo al paese era stato annunciato da tempo, attraverso il più efficace dei social network dell’ epoca: il passaparola. Tutti al paese parlavano del suo imminente arrivo, come se fosse stato un segreto da custodire gelosamente, anche se in realtà tutti lo sapevano.
In pratica, tutti parlavano dell’ agognata donna, il cui aspetto fisico era sempre esaltato dagli uomini maturi, ma che nessuno di loro era in grado di descriverla in modo esauriente. Le risposte erano sempre vaghe, anche se molti di loro si vantavano di aver usufruire delle sue grazie. “Bocca di rosa” era diventata, suo malgrado, una leggenda metropolitana.
A metà febbraio del 1977, Lucio annunziò ufficialmente a Gesualdo il suo arrivo. Lo scemo del paese entrò in uno stato di fibrillazione, si vestì elegantemente, indossando il vestito del padre, e andò a ritirare cinquanta mila lire alla Posta.
La donna arrivò molto tardi, Gesualdo l’ aspettò pazientemente davanti alla Fontana Monumentale, fumando un sigaro dopo l’ altro. Verso mezzanotte, quando il povero stolto cominciava ad accarezzare l’ idea di tornarsene a casa a piedi, arrivò una fiammeggiante cinquecento rosa. L’ uomo si avvicinò al finestrino dell’ automobile e vide un uomo che conosceva appena in compagnia di una prosperosa donna bionda.
“Dai, sali! Sbrigati, prima che arrivi qualcuno!”
Gesualdo salì nella macchina e si accomodò sul sedile di dietro, trattenendo il respiro per l’ emozione.
L’ auto fece una decina di chilometri in mezzo alla campagna e, dopo aver spento i fari, parcheggiò proprio sotto la Morgia, un affioramento calcareo a forma di leone accucciato.
L’ uomo si accese l’ ennesima sigaretta, poi si girò indietro in direzione di Gesualdo e gli disse che, se voleva appartarsi con “Bocca di rosa”, avrebbe dovuto sborsargli cinquantamila lire.
Gesualdo frugò animatamente nelle sue tasche e gli porse la banconota. L’ uomo la scrutò attentamente, se la mise in tasca, scese e si allontanò lentamente dalla macchina.
La donna indossava un enorme maglione di lana, una minigonna a quadretti, che lasciava intravedere delle gambe robuste, come piacevano a lui, e degli stivali neri. Masticava nervosamente del chewing gum al gusto di eucalipto che cospargeva di profumo l’ automobile piena di fumo.
Gesualdo respirò profondamente e si fece coraggio. Allungò la mano per toccarle i seni, ma ricevette un sonoro schiaffo che gli fece girare letteralmente la testa.
“Siediti avanti, cretino! Non penserai di fare l’ amore con me per corrispondenza!”, gli disse “Bocca di rosa” con un tono di voce stizzito.
Lo scimunito si spostò nella parte anteriore del mezzo in un batter d’ occhio e cominciò a sbottonarsi i pantaloni, poi cominciò a toccarle le gambe quando improvvisamente qualcosa lo bloccò e cominciò a balbettare come un bambino.
“Ma- ma ci so- sono due pe- pesi!”, urlò l’ uomo a squarciagola.
Fu allora che “Bocca di rosa” scoppiò in una fragorosa risata e disse, gemendo come una cagna in calore:
“Ma sei proprio scemo, Gesualdo! Non mi hai riconosciuto? Sono Lucio!”
Un gruppo di giovanotti del paese comparve misteriosamente attorno alla macchina cantando rumorosamente:
“Gesualdo che puzza di culo, vaffanculo, vaffanculo!!!”
Gesualdo si riabbottonò i pantaloni, scese dalla macchina, chiuse delicatamente la portiera, come se non volesse infrangere il silenzio della notte, si accese un sigaro e scomparve nel buio.
I Carabinieri lo ritrovarono impiccato il giorno dopo nel posto preciso in cui l’ artista greco Varotsos nel 1988 avrebbe installato sul masso l’ opera “Orizzonti”.
Uno stupido scherzo di carnevale, organizzato da un gruppo di buontemponi, era costata la vita di un uomo buono come il pane.