Caro Marco,
credo non leggerai mai questo mio scritto, perché sicuramente lo interpreteresti come un'accusa e in parte lo è, ma solo in parte.
Ancora trovo incredibilmente stupida e priva di senso questa paradossale, devastante fine, determinata da.... boh, mistero!
Ascolto questo vissuto e ne sento il suono, le note di un amore o forse no.
ECCO, PARTE LA MUSICA, ASCOLTALA... ASCOLTAMI.
Note sparse, strani toni a tratti disarmonici che risuonano ossessivi.
Voglio solo capire.
Si accordavano gli strumenti in un inizio che sembrava non voler decollare, dove la mia unica volontà era il duellare armonico in uno spartito unico.
Le piccole note a volte stonate, i brevi arroganti accordi, gli attimi di silenzio carico.
Tu hai dato voce ai tuoi strumenti: la tua caparbietà, la tua forza, il tuo entusiasmo, la tua capacità di coinvolgere, il tuo essere eccessivo, il tuo voler volare oltre ogni logica e ragione.
Toni alti, che sembravano preludere all'esondare musicale di un'orchestra sinfonica.
Io rifiutavo di ascoltare, fingevo di non sentire, strettamente abbracciata alla mia paura, prudente nel terrore di seguire un'illusione.
Fuggivo, ma non riuscivo a proibire a quei nuovi suoni di insidiare il mio cuore.
Le note s'inseguivano, si raggiungevano, si carezzano vellicandosi con tocco leggero.
Tu combattevi contro ogni logica per me che ero un'estranea, per me che non ero disponibile, per me che non volevo crederci, per me che ero saldamente ancorata alla mia solitudine e alla certezza che non potesse esserci nessuno capace di introdursi nel mio mondo.
Avrei voluto essere sorda per non subire l'incanto del tuo magico flauto.
Le note giocavano sovrapponendosi, rincorrendosi, cercando l'armonia, scoprendo inediti accordi.
Ho cominciato a crederci, ma ancora non riuscivo a sognare i tuoi sogni e tu, sempre li, pronto a riaccendere la fiaccola per illuminare il buio profondo di un futuro che io non riuscivo ancora a vedere.
Mano a mano che mi avvicinavo, chiedevi sempre di più: mi chiedevi di fidarmi di te, di coinvolgerti, di includerti in ogni mio spazio, di viverti e lasciarmi vivere.
La tua musica prendeva il sopravvento e io mi smarrivo ascoltandola.
Quanta fatica ho fatto!
Era troppo lontano dal mio essere poter credere in qualcuno più che in me stessa.
Poco a poco sono cambiata, ho cominciato a pensare che tu non fossi semplicemente una splendida persona, ma l'unico essere possibile, ho cominciato a sentirti come parte di me stessa, una parte vitale, come l'unico senso alla mia vita.
Ad occhi chiusi la tua musica mi era entrata nell'anima.
Una sinfonia trionfale che non lasciava spazio ad altro ascolto.
L'amore credevo. Nulla di più. Nulla di meno.
La musica assoluta.
Ma, nell'apoteosi di queste note, qualcosa ha cominciato a stonare.
Non sentivi più l'unicità del nostro stare insieme, il tuo sguardo distratto vagava e io non capivo.
Seguivo la musica che non c'era più.
Poi improvvisamente la cacofonia ha avuto il sopravvento.
Cominciavo a chiedermi perché una persona giunta ad ottenere quello per cui aveva lottato con le unghie e con i denti, avesse perso ogni energia, ogni interesse, ogni impulso e trovasse mille strategie per dileguarsi.
Mentre il panico strideva come il gesso sulla lavagna e la violenza del silenzio sostituiva una ad una le note della nostra melodia, io continuavo a domandarmi quel che palesemente avrei dovuto capire.
Forse un gioco, di cui io non conoscevo le regole?
Non potevo considerare un mio errore di valutazione.
Ti telefonai per capire e fu una mazzata di una potenza impressionante!
Un colpo di grancassa, senza alcun senso armonico.
Dolore per le orecchie, morte per il cuore.
Avevo ignorato ricordi opprimenti.
Avevo cancellato la notte trascorsa sola come un cane a leccarmi ferite sanguinanti sperando in una carezza che non è mai giunta, e le laceranti, vuote parole del giorno dopo.
Suoni senza senso, il nulla grigio e opprimente che sostituiva ogni colore, che violentava ogni nota, che impediva il propagarsi di ogni suono.
Era giunto il silenzio, doloroso, devastante.
L'assenza della melodia, la nostra sublime melodia, quella stessa melodia che io sola speravo di sentire ancora.
I tuoi strumenti erano morti, i miei languivano in una solitaria ricerca di accordi.
Punti interrogativi sostituivano le note, devastando lo spartito, mentre ancora cercavo di ascoltare i suoni che mi avevano accarezzato l'anima.
Poi ho capito!
Il tintinnare di due bicchieri di cristallo che non avrebbero dovuto esserci hanno spostato la mia attenzione e ho saputo che continuavi a suonare la stessa musica, ma diverse erano le orecchie a cui era destinata.
Marco, la tua non era la musica assoluta destinata a vibrare all'unisono con un'altra anima.
Il tuo era il jingle di uno spot pubblicitario, un ritornello che serviva per reclamizzare te stesso, per soddisfare il tuo egoismo, per impreziosire il tuo nulla, per ottenere un'altra vana conquista.
Troppo desideravo la carezza di un suono dolce da non capire che non c'era melodia nel tuo ciarlare vacuo e, quando hai interrotto lo sproloquio, il clangore del tuo silenzio ha raggiunto l'apice del mio dolore.
Ho creduto che nell'assenza fosse la fine.
Poi il silenzio è diventato quiete, come una carezza che consola, come un sorriso che incoraggia, come un abbraccio che guarisce.
Ho imparato ad amare il silenzio ed ad ascoltare le note lievi che ripartivano dal mio petto a sostituire i battiti irregolari che il dolore aveva imposto al mio cuore.
Poco a poco ecco la musica nuova, la musica vera, la musica che ogni donna deve imparare a sentire, la fantastica sinfonia dell'anima nuda, che non cerca conferme oltre se stessa, che sa di esistere.
Non mi distrarranno i motivetti orecchiabili, sto imparando a conoscere i suoni puri, respiro l'armonica vibrazione della vita che sa ascoltarsi ed ascoltare.
Amerò ancora.
La mia musica saprà condurmi verso un'altra anima la cui frequenza sarà quella del vero amore.
INIZIA IL CONCERTO, SONO PRONTA!