Duilio Bianchini (1922-2002)
Duilio aveva le “Le phisique du rôle” del pugile: grintoso, spalle larghe, faccia segnata dai pugni, voce gutturale ma anche dotato di un’intelligenza vivace e brillante. Lui e Piero facevano coppia come Bibì e Bobò, dov’era l’uno c’era l’altro. A quel tempo entrambi, su incarico del Conte Francesco Ferrari (Cecco), effettuavano il recupero crediti dai clienti morosi, tant’è che il giornalino satirico degli studenti universitari “Candido” pubblicò in prima pagina la caricatura di Ferrari che reggeva i due piatti della bilancia con sopra le teste dei due compari. La didascalia recitava: “Poche storie, poche ciance Conte son delle bilance!”. Si può immaginare con quali modi urbani e raffinati i due portassero a termine il loro incarico.
Duilio ebbe il suo momento di gloria da giovanissimo e raccontava che a quel tempo ebbe una notte d’amore con un’attrice importante dell’epoca. Molto probabilmente la vicinanza di “Piero bugia” aveva influenzato anche lui, ma Duilio al contrario di Piero ebbe veramente una vita difficilissima. Aderì alla R.S.I. e scontò del carcere che gli precluse la carriera pugilistica. (1)
Quando giocavamo a carte, non solo era molto più bravo di me, ma anche furbescamente scorretto e guai aprir bocca, m’intimoriva con il suo sguardo truce e con parole che trafiggevano come una pugnalata. Non voleva, non sapeva, non poteva perdere e quando accadeva, dava di morso alle carte imprecando a più non posso. Giocava spesso con noi pivelli, molto intimoriti dal suo fiero cipiglio, dunque perdenti, ma ormai io avevo preso confidenza con Duilio e bastava un segno d’amicizia per farlo sciogliere come neve al sole.
Ricordo un’interminabile partita con un militare di passaggio: giocavano a biliardo a boccette mille lire a partita, una cifra per quei tempi. Duilio credeva che lo sbarbatello fosse una facile preda ma erano più o meno allo stesso livello e le mille lire passavano da una mano all’altra per poi ritornare, non c’era modo che uno dei due prevalesse. Tentò anche con l’intimidazione e scene di disperazione che i giocatori sono usi fare per ammorbidire e demolire psicologicamente l’avversario, ma niente da fare quello era un osso duro. Fu allora che giocò la sua carta vincente. Sbagliando molte palle facili perse la partita e tornarono ancora una volta in pareggio, ma lasciò intendere all’avversario che era ormai mezzo-ubriaco con tutti i grappini che si era bevuto. All’improvviso Duilio esordì: “E’ tutto il giorno che siamo qui, ormai è l’ora di cena e abbiamo giocato per niente, facciamo l’ultima partita da 10.000 lire”. L’altro, spiazzato, gli rispose che era tutto quello che aveva. “Giochiamocele tutte, chi vince fa festa e chi perde s’impicca” chiosò Duilio. Mentre il soldato ci stava pensando e non sembrava propenso (probabilmente con quei soldi ci doveva campare un bel po’), Duilio, ondeggiando vistosamente e parlando come fanno gli ubriachi, si rivolse a Piero dicendo: “Prestami 5.000 lire che se perdo poi vado a casa e mi taglio la gola”. Piero, reggendogli la parte, glieli negò dicendo che era suo amico e che non voleva giocasse ancora, perché era ubriaco e gli ubriachi erano sempre perdenti. Il militare, ingolositosi, intervenne dicendo che era disposto a giocarsi 5.000 lire (quelle di cui Duilio disponeva) ma Duilio non volle saperne e si rivolse a Bucina ottenendo quello che gli mancava per coprire la posta. Il ragazzo, vistolo in quelle condizioni, dopo averci pensato su a lungo accettò di giocarsi 10.000 lire. Fu la fine! Duilio smise d’imprecare e di bere, ma non di fumare; fece un sospirone e vinse di misura la partita, ma vinse. Ora era il soldatino che non aveva retto all’emozione di giocarsi tutti quei soldi e soprattutto aveva commesso l’errore madornale di credere che l’avversario fosse veramente fuori combattimento.
Duilio si riscattò col matrimonio, si mise a lavorare d’impegno ed ebbe due figli esemplari. L’ultima volta che l’ho visto, ormai ultrasessantenne, è stato molti anni fa alla Taverna degli Artisti (Ristorante di Marina Centro a quel tempo gestito da Nadi e Sergio Fiori), faceva il custode notturno e curava le piante. Mi feci riconoscere, mi diede del Lei ma lo convinsi a desistere. Lo fece con fatica e mi disse: “Vedi, tu sei diventato importante, io sono rimasto un poveraccio e per giunta vecchio, non vedi cosa faccio?”. Sorrisi e ci abbracciammo affettuosamente. Era diventato un agnellino, era veramente un’altra persona e ne fui felice. Morì nel 2002 a 80 anni, in pace con se stesso e con gli altri, assistito e confortato dall’affetto dei figli.
Nota
(1) C'è chi sostiene che Duilio Bianchini sia stato il pugile più forte che Rimini abbia mai espresso. Velocità, potenza, intelligenza, gioco di gambe erano le sue armi vincenti sul ring, unite a un gancio destro che faceva davvero male. Non si sentiva secondo a nessuno e quando saliva sul quadrato, dove non aveva molti amici, aggiungeva quella cattiveria necessaria che serviva per caricarsi ulteriormente. I numeri in tal senso parlano chiaro e infatti Bianchini vinse prima del limite l'85% dei suoi 300 combattimenti da dilettante. La "perla" della sua carriera fu sicuramente il titolo europeo dilettanti conquistato nel 1942 a Breslavia (Polonia) battendo nell'ordine lo spagnolo Calpe, lo svedese Boqvist, il tedesco Carz. Poi vinse la finale "a tavolino" perché i vertici federali risparmiarono all'altro azzurro Liberi una prevedibile serie di cazzotti memori di quanto successe qualche tempo prima a Roma. Una carriera, quella di Duilio, pesantemente condizionata dalla guerra e infatti non fu più lui quando riprese a boxare tra i professionisti. (Tratto da "Quelli che...lo sport che passione" a cura di Alberto Crescentini e Carlo Ravegnani).