Il primo giorno del nuovo anno era appena iniziato. La notte trascorsa, per Luca era stata dura, vissuta in una solitudine irreale, lontano da tutti, ma, principalmente lontano da se stesso. Inquieti e senza meta erano i suoi pensieri; pensieri, che sempre approdavano all’ isola del nulla alla ricerca di cibo. Non sapeva più che pesci prendere dal cesto della vita. Scavava con una tale ansia con tutte due le mani, per trovare alcun frutto da mangiare, ma niente riusciva a trovare nel fondo del cesto. Degli stati di grazia vissuti qualche giorno prima non vi era traccia alcuna, navigava solo, accompagnato dal jazz, lontano da tutto e da tutti,volevo semplicemente dormire, riposare, scomparire. Si era proprio smarrito nel primo giorno del nuovo anno tra l'ipocrisia degli auguri e l'inizio di cosa non aveva idea. Questo, gli portava una tale malinconia, che lo stesso non riusciva a comprendere. Certo, l’ anima fa dei brutti scherzi; A volte, ti benda gli occhi e ti trasporta nel vuoto più vuoto, tra colline di angoscia e paura di vivere. Si, Luca aveva tanta paura quel giorno di vivere, era come se avesse perso tutto se stesso in una notte giocando d’ azzardo con la vita. Si sentiva solo e senza radici, in un divenire incerto e senza alcuna terreno fermo esistenziale, un po, come l'universo che si espande nel nulla; in poche parole, niente, che permettesse a lui di ancorarsi allo scoglio come fanno i molluschi. Voleva morire, era stanco dei rumori della vita e delle pene spirituali,dei conflitti del mondo e della sovranità del capitalismo sfrenato. Era stanco di pensare e di riflettere, senza giungere mai a nessuna isola tranquilla. Nel frattempo, solo la musica gli teneva conforto. Da piccolo, la musica gli aveva sempre riscaldato l’ anima come una coperta calda che aderisce al corpo; e ancora, continuava a farlo anche quel giorno per sua fortuna. Luca quel giorno del primo anno, nemmeno si rivolse all’ ultima spiaggia della fede consolatrice, aveva perso ogni speranza di perdono per se stesso.
Perdono, inteso come disperazione e poi ricongiunzione, ricostruzione, avvicinamento a se stesso e a Dio. Continuava a fumare sigarette sperdendosi nel fumo denso della tristezza. Nulla, lo consolava. Provava, riprovava come sempre aveva fatto nei momenti difficili per rimanere a galla sulla zattera della vita e per non cadere nel fondo del pozzo buio dove non ci sono candele. Provava a consolarsi con il suo trascorso di vita vissuta, in particolare, ricordava quand'era piccolo e giocava con i tappi di bottiglia dai più svariati colori, poche cose possedeva in quel tempo infantile passato, ma reali, magiche. Niente, non funzionava il rito del tornare bambino. Una smania, un’ irrequietezza assoluta lo avvolgeva nelle sue pene. Tutto appariva contro di lui come non avesse scampo a tale giorno e a tale momento che avnzava come un nemico munito di lancia lunga. Uscì dalla sua casa, passeggiò per l’ intero giorno sotto una pioggia fitta che si abbateva sul litoraneo partenopeo, osservò le onde che s’infrangevano sugli scogli, voleva essere onda e mare, sole e pioggia. Voleva essere tutto, tranne quello che era in quel preciso momento. Si odiava come mai si aveva odiato, era infelice e rotto nell'anima. Gli era volato via il suo aquilone preferito,
quello dai vivaci colori e sempre allegro, non lo aveva tenuto abbastanza stretto tra le mani, e si sa, il vento della vita fa di questi scherzi quando soffia violentemente, bisogna stare attenti, tenere stretta la presa, con le mani del cuore accarezzarlo tenendolo stretto al petto. Ora, con uno sguardo triste osservava l'aquilone volare via piangendo, l'uccello del vento nel frattempo saliva su nel cielo mesto, lontano da lui, dal suo cuore e dal suo grembo. Si arrampicava tra nuvole di colore grigio con poca panna dentro, presto, sarebbe scomparso alla vista acuta di Luca. Certo, che ogni lascito è una morte, certo, che ogni lascito è un’ occasione di una parte di vita fallita. Per fortuna si ricordò che aveva la sua musica, il jazz … A sera tardi, dopo varie traversie, ritornò nella sua vuota casa, si sedette sul suo divano preferito, quello di pelle, di colore marrone come i tronchi degli alberi in primavere, si mise la cuffia alle orecchie per ascoltare musica, poi, prese un libro dallo scaffale, precisamente quello di William Burroughs : " Il biglietto che è esploso " leggendolo, mentre con il dito della mente seguiva il rigo , scomparve, svanì improvvisamente tra il fumo delle sigarette che fumava, e un calice bianco colmo di vino. Dove se ne andò, nessuno mai venne a saperlo. Rimasero solo cicche di sigarette sparse sul pavimento della casa, e un pezzo di carta con una poesia scritta con la punta ferrea di una matita, intitolata: " Rumore. " La radio nel frattempo, ad alto volume continuava a suonare jazz. |
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