Un botto repentino. E mi sveglio strozzando un grido di paura in gola. Il cuore che picchia forte. Mi calmo quando intuisco che s’era trattato solo di una porta sbattuta dal vento.
“Oh, ma dove cazzo mi trovo?. Dove mi trovo? Che ci vuole la zingara per intuire che sto in un letto
d'ospedale”. Provo a scendere dal letto. Mi frena un lancinante mal di testa e la flebo che per poco non crolla giù.
“Ma sto solo io in questa stanza?”. Poi m’afferra il panico. E comincio a gridare come Anastasio, il matto del mio paese, che quando ha paura grida alla guisa di una sirena che non vuol saperne
d’arrestarsi. “Non c’è nessuno qui?”. Lo urlo una, due, mille volte fino a quando non mi frena la forte emicrania accompagnata da una spaventosa vertigine che mi fa strillare come un bambino quand’è ora di succhiare al capezzolo della madre: “Aiutatemi, mi sento male”. L’sos si perde nel nulla. E quando mi sono rassegnato a rimanere solo e acciaccato nel letto, odo il rumore di passi, di donna, non ci sono dubbi, visto l'inconfondibile ticchettio dei tacchi a spillo.
La porta s’apre. Ed ecco a voi la più bella del reame. Non ho la forza nemmeno di guardarla, ma è talmente bella che San Salvatore, il mio santo preferito, si decide finalmente a farmi stare un pò meglio, consapevole anch’egli che una bellezza del genere va gustata anche in punta di morte.
“Chi è sta stallona d’un metro e ottanta? E che vuole questa da me? Prima che mi faccia le consuete
illusioni, vuoi vedere che ha sbagliato stanza”.
Ed invece mi sorride e m’accarezza con queste parole: “Come stai Franco? C’hai fatto prendere un grande spavento. Ma adesso ti vedo meglio”. Questo bene di Dio mi conosce e che spavento ho fatto prendere?. Nella stanza c’è un caldo bestiale e sto sudando come Giovanni l’amico mio che una volta sudò così tanto da essere fracido al punto tale che sembrava colpito da un gavettone. M’asciugo alla meglio e timido come un bambino a cui gli hanno detto parole dolci le chiedo:
“Come fai a conoscere il mio nome. Sinceramente è la prima volta che ti vedo”. Lei sorride con aria
più che sorpresa, direi sospettosa per non aver creduto alle mie parole. “Davvero dici?” mi replica accostandosi di scatto al mio lettino. “Mi devi credere, non ti ricordo affatto”, cerco di spiegarle io e
lei m’interrompe: “Come? Se qualche ora fa ci siamo conosciuti nella zona dove abiti di fronte alla
macelleria. Io ero in compagnia della tua vicina di casa, la Sig.ra Mena. Stavamo parlando e all’improvviso tu ti sei accosciato perdendo i sensi”. Ma guarda questa straniera, dovrà essere sicuramente ucraina, come parla bene in italiano. Un momento però: “Cosa? Sono svenuto? E perché sono svenuto?”. Le chiedo come un imbecille. “Questo, scusa – dice con piglio quasi infastidito – non devi chiederlo a me, bensì ai medici”. Certo sono davvero fuori di testa. Si, dovrò dirlo ai medici, a chi se no?.
Oh, cos’è questo rumore?. Ah, è il mio telefonino. E chi mi cerca? Madonna c’è una chiamata di mia moglie. Ma questa qui perché non va via. No, deve andar via. Prima che arrivi lei, sta' bella fine del mondo venuta dall'Est che non so nemmeno come caspita si chiama deve alzare i tacchi. Adriana è gelosissima e guai se la trova qui. Altro che sala intensiva? Mi spedisce proprio all’obitorio. (Fine della seconda parte)