Un diario. Guardo queste pagine vuote. Le guardo e sento che i miei pensieri prendono forma e le parole scivolano via, libere, dalla mia mano un po’ stupita.
Un diario. Forse per dare un po’ di senso a questa mia vita, così uguale, così tanto uguale. Forse leggendo di questa mia vita capirò i vuoti, comprenderò il perché delle assenze, coglierò i motivi delle occasioni mancate e allora la mia solitudine sarà meno doloroso e accetterò ogni cosa con maggiore consapevolezza.
Eppure non mi sono mai accorto di questo vuoto. Sino a qualche giorno fa: il mio ritmo era scandito dalla regolarità, da una routine solida. Nessuna incertezza. Il mio vivere solo un fluire di giorni lenti e regolari.
Ma qualcosa è cambiato: il peso di due occhi, il peso di uno sguardo che come una carezza ti sfiora, improvviso e con una dolcezza che fa male, ti attraversa il corpo e si staglia a fuoco nella mente e il cuore stesso reagisce con impeto e regala battiti nuovi, battiti di vita nuova.
Non l’ avevo provato mai o forse non avevo incrociato lo sguardo mai, con occhi come i suoi, occhi che bucano, occhi che non lasciano scampo alcuno, occhi che non puoi smettere di guardare.
E quando incontri occhi così, sai di non aver vissuto, sino a quel momento.
Sono uno sciocco lo so. Deve essere il farneticare di un uomo maturo. Ma sento che il suo sguardo mi ha svegliato dal torpore.
La foschia che avvolgeva il mio tranquillo mondo è calata e quello che vedo mi sconcerta.
Non so neppure che sia, né come si chiami. Ogni mattina, come un invasato, attendo quel treno, a quell’ ora precisa, per rivederla o meglio, per sentire il peso, meraviglioso, di quegli occhi, e appena la scorgo, tra quella marea umana di teste e di corpi anonimi, io comincio a vivere.
Una manciata di minuti, nient’ altro che questo, e la speranza di rivederla il giorno successivo.
Un pezzetto di strada insieme, solo questo.