"M'ammento, comente s'esserat deris, de su giogare chi faghimis in su tempus chi sos pitzinnos fint seguros in carrela. No aimis nudda ma su currer fit in sas ancas e su rier in sas laras".
"Ricordo, come fosse ieri, quanto giocavamo quando i bambini erano al sicuro nella strada. Non avevamo niente ma il correre era nelle gambe ed il ridere nelle labbra".
Le rughe sul viso di " tia" Baì nza si distendono al ricordo dei giochi infantili ed i quasi ottanta anni hanno uno sguardo che sorride. Le mani ferme sfiorano i lobi delle orecchie e controllano la chiusura dei magnifici orecchini in filigrana. I capelli argentati sono un tripudio di ricci che incorniciano il viso leggermente truccato. " M'est pià ghidu semper su rossette!" - mi dice con una risata giovane. Già, coltiva ancora il piacere di sentirsi donna con un velo di cipria sul viso ed un filo di rosso sulle labbra. E "Violetta di Parma" sulla pelle.
Ascolto il suo raccontare con l'interesse attento con il quale, una volta, i bambini ascoltavano gli anziani. Erano i "contos de foghile", le storie narrate attorno al focolare ed erano avvolte da un alone magico. Ricordo la paura rimasta sulla pelle dopo aver ascoltato di un essere, "s'ammutadò re" che, con sette "berritas" sul capo, spaventava i piccoli disubbidienti.
Mi sembrava di sentire il suo respiro sul collo e di vederlo dietro ogni porta che aprivo: nero, magro, alto, ghignante... era diventato incubo.
Ma i giochi dell'infanzia di tia Bainza erano pieni di allegria, di corse sulle strade bianche, di canzoni inventate, di cavallini di canna e spago, di " poppì as de istrà tzos" (piccole bambole informi realizzate con i ritagli di vecchi vestiti), di sassolini, di spilli e ossicini di agnello.
" Sai che mio padre era "massà ju", possedeva e coltivava ettari di terreno ed allevava cavalli, pecore, galline, vacche e buoi. Mi ricordo - e si ferma per rivolgermi un sorriso birichino - che rischiavo di prenderle di santa ragione quando non riusciva a trovare il giogo per i buoi. " Cussa est Bainza! Bi l'appo nadu de no leare su giuà le, milli 'ortas bi l'appo nadu, ma como m'intendet!" (E' stata Bainza! Quante volte le ho detto di non prendere il giogo, mille volte gliel'ho detto, ma ora mi sentirà!"). Ma ero l'unica che potesse disporre di una fune robusta per saltare e la prendevo " in prestito" per le gare previste dopo il tramonto"- e gli occhi si perdono nella visione di quelle serate estive tra polvere, risate e ginocchia sbucciate.
Mentre aspetto che ritorni al presente, mi guardo intorno.
Mi colpisce la raffinata eleganza dell'arredamento: mobili solidi, cristalli trasparenti, vasi colmi di fiori, tappeti colorati sul pavimento e sulla cassapanca, tende in lino con pizzi a tramezzo: tutto respirava in sardo.
Un sospiro mi avverte che tia Bainza sta per riprendere il racconto.
" Accorrevano anche i bambini che abitavano nel quartiere più lontano. Formavamo un bel gruppo chiassoso che progettava anche monellerie innocenti.
Il nostro "babbà i" era un prete anziano, gentile e sempre disponibile. Una sera decidemmo di ascoltare, nascosti dietro una finestra della canonica, i segreti che un paesano aveva deciso di confidare al suo "pastore". Non capimmo il contenuto ma una parola che a noi parve una "parolaccia", scatenò una risata contagiosa e rivelatrice: scappammo come lepri dopo aver sentito lo stridere di una sedia!"- e non furono mai scoperti, mi sembra di capire.
Poi, il volto assume una dolcezza commossa e gli occhi le si inumidiscono.
"Sai come chiamavano la nostra strada di bambini colmi di vita? "Sa carrela 'e sa tennera", la Via della Tenerezza, non è meraviglioso?"- e, appoggiando il viso sul palmo aperto, lascia scorrere una lacrima.
Sì, tia Bainza, è meraviglioso e poetico anche nelle impraticabili strade di questo tempo.