Leopoldo Astolfi (Poldo) era un valentissimo sarto, il mio sarto. Aveva frequentato la scuola di taglio e cucito con Antonio Tomassoni (detto l’orango), il socio non del suo calibro e da cui ben presto si separò. Quando passeggiavo sul corso d’Augusto compiendo il tratto fra le due piazze principali, i suoi abiti non passavano inosservati; infatti la gente mi guardava con interesse ed ammirazione e così era per tutti quelli che vestivano da lui. Credo d’essere stato fra i primi clienti importanti di Poldo. Anche Paolo Anelli, ch’era un noto dandy, s’accorse del suo talento e col suo estro ne favorì la crescita, tant’è che Poldo divenne presto un sarto à la page per molti giovani che da lui accorrevano, pagando a rate i suoi elegantissimi abiti.
Poldo mi diceva d’essere antifascista e attribuiva il fatto a quando era balilla a Cerasolo. Un dì venne in visita il Federale che vedendo quel gruppo sparuto di militanti disse loro: “Fascisti di Cerasolo, siete pochi!” ed alzò i tacchi andandosene precipitosamente com’era arrivato. Da lì il suo antifascismo.
Nei primi anni ’60 fece domanda per il Sud Africa, dove erano richiesti artigiani di vario genere ma fu scartato perché, all’accurata visita medica prescritta per l’idoneità, risultava che gli organi interni erano tutti rovesciati: il fegato a sinistra e la milza a destra, il cuore rivolto a destra, polmoni anch’essi rovesciati, i reni pure. Uno dei suoi chiodi fissi erano le donne, alla loro presenza andava letteralmente in solluchero, tant’è che gli portai un paio d’amiche (Mitzi ed Elia) ben istruite per sedurlo, per poi lasciarlo con un palmo di naso ma con l’illusione d’esser piaciuto.
Ma la cosa più stupefacente fu quando mi disse d’esser scrittore e m’affidò il canovaccio del suo romanzo ambientato in un Paese dell’America Latina. Gli chiesi a quale tipo di letteratura o romanziere si fosse ispirato, mi rispose: “Ernest Hemingway”; gli domandai ancora cosa avesse letto dello scrittore e perché proprio Hemingway, soggiunse che non aveva letto nulla ma gli piaceva quel personaggio dalla folta barba che gli conferiva un’aria da vissuto.
Mi confidò che gli era sempre piaciuto scrivere ma che aveva fatto solo la quinta elementare ed io che “ero studiato” e più colto avrei potuto correggere ciò che andava corretto. Non riuscii a rifiutare e iniziai la lettura.
Non ricordo più che titolo avesse quel romanzo ma ricordo che iniziava con: “Ero solo col mio cane Espero…”, non disprezzabile come inizio e bello il nome del cane! Tuttavia proseguendo nella lettura notai che la narrazione e i dialoghi che dovevano rappresentare un’opera drammatica facevano invece sbellicare dalle risa, assumendo i contorni di un’opera buffa. Mi fermai a metà dell’intero fascicolo, quando l’eroe del romanzo - volendo arringare una piccola folla di braccianti (peones), che digiuni e mesti si prodigavano per i preparativi del pranzo nuziale del padrone - salì in piedi s’un tavolo e disse: “Unitevi a me, combatteremo per la libertà… e se saremo uniti, prometto per tutti: un primo abbondante, un secondo discreto e la frutta se c’è!”. Con gli amici al bar andammo avanti un mezzo inverno citando alcuni brani di quel romanzo che sembravano delle vere e proprie esilaranti gag.
Gli restituii l’elaborato dicendogli che l’opera in sé non era male ma che andava largamente rivista ed io non possedevo adeguati strumenti culturali per farlo. Sostanzialmente gli dissi la verità e Poldo apprezzò aggiungendo mestamente: “Se fossi andato a scuola la cosa sarebbe stata diversa… cla volta u-iera la miseria!”. A quel tempo io ero solo un ragazzo che aveva voglia di divertirsi e di prendere nulla sul serio, lui, invece, era un uomo maturo che continuava a sognare ad oltranza, nonostante l’evidenza, ma mi dispiacque sinceramente di non averlo potuto aiutare.