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Il bambino e la lince

Amore

Quel documento narrava della fame in Africa, e del povero continente sfruttato e vilipeso dalle variegate multinazionali di potere economico del mondo occidentale.

Il reportage aveva delle foto con delle immagini toccanti, e colpiva la crudezza in sequenza d’ istantanee che ne determinavano l’ effimera realtà devastante, di queste povere genti.

La terra Africana se ne stava nel suo grande abbandono, perpetrato da parte del mondo sviluppato.

<“ Miranda” in soliloquio s’ interrogava, mentre, lasciava scorrere quelle foto nel monitor del proprio computer>.

I commedianti delle tante diplomatiche ipocrisie Internazionali ne erano gli artefici del documentario; e ne palesavano nel converso del continente nero … degli aiuti cospicui.

Quei perbenisti “ Internazionali” erano soltanto bocche ciarliere e fameliche di mero possesso geopolitico, che ne sfruttavano del grande paese Africano le sue primarie risorse economiche. Costoro, sfruttavano appieno dell’ Africa le sue risorse ambientali, schiavizzando anche gli stessi popoli autoctoni che abitavano quelle meravigliose terre.

Per “ Miranda” le diplomazie internazionali dell’ occidente, gli apparivano come fossero bestie immonde: famelici opportunisti che smembrano la loro povera preda, non per fame, ma soltanto, per spartirsela nel loro solo vantaggio di potere commerciale.

Nel silenzio sepolcrale di quelle foto, “ Miranda” aveva terminato di visionare quel piccolo filmato preso a caso tra i tanti video che offre la rete del web.

Dentro le sceniche, c’ erano in primo piano dei volti scarni di bambini denutriti, d’ insieme, ai visi degli adulti rappresi dentro la propria totale precaria indigenza.

Gli sguardi incuriositi di quelle povere genti erano sparuti e smunti; e l’ obiettivo fotografico ostentava inclemente i loro incavi orbitali per la fame e i loro stenti.

La macchina fotografica aveva colto nei volti del povero popolo tribale, degli attimi usuali e colmi della fatica quotidiana: giorni austeri per queste povere genti, e vissuti d’ uomini, in piena emergenza esistenziale. Nel volto di questi poveri, si evidenziava il proprio abbandono lascivo verso la morte, nel converso, dei propri morsi lancinanti di fame atavica.

Queste genti erano vestite con dei miseri stracci, e ciò nonostante, nelle loro iridi c’ era una luce dignitaria.

Di quelle madri con i loro bimbi in braccio, lo scatto dell’ obiettivo ne aveva fissata l’ immagine del proprio sguardo altero: occhi femminili perduti nella vastità di una terra feconda, sconfinata e indocile.

Questi popoli autoctoni erano caratterialmente benevoli, ed erano anche fin troppo ingenui nel loro comportamento sociale ben evidenziante una propria fierezza antica, nonostante, le proprie avversità economiche e sociali.

“ Miranda” era riflettente all’ egoismo e all’ ipocrisia che alberga nel mondo, e la sua mente focalizzava in particolare una splendida diapositiva.

Il fotocronista aveva immortalato una donna molto magra e alta, nella sua corporatura.

Costei … era una madre che portava all’ altezza del proprio seno un fasciatoio realizzato in tela colorata, con dentro una splendida lince cucciola, mentre; dentro un cesto conico adagiato nelle sue spalle, vi aveva posto un bellissimo bimbo.

“ Miranda” era rimasta assorta dentro quello scatto fotografico.

La stessa immagine da “ Lei” visionata accuratamente più volte … l’ aveva scaraventata dentro una propria profonda riflessione introspettiva.

La ragazza, in quegli istanti era stata rapita dai molti tumulti emozionali che le scaturivano dal proprio animo irrequieto.

In “ Lei” e per ogni sua riflessione meditativa s’ insinuava un’ elaborazione e un’ autoanalisi profonda; e di “ come potesse essere il sentimento del puro amore tra specie viventi differenti”.

Nella giovane Europea scaturivano dei baleni di logica impulsiva, che come fossero onde in alte frequenze, la lasciavano sconcerta in se stessa: affogandola nel proprio effluvio emozionale.

“ Miranda” … che se ne stava dentro un proprio silenzio prolungato, che l’ aveva penetrata improvviso; e anche la sua stanza … che “ Lei attonita scrutava”, le appariva una lussuosa prigionia.

Quella sua dimora che l’ aveva illusa e ovattata, mentre al di fuori delle proprie sicurezze, vi era tutt’ altro mondo.

Nella ragazza, si era insinuata la sensazione netta che la propria vita fosse formata da molte dimensioni condizionanti. Nella vita di “ Miranda” c’ erano state soltanto delle ingannevoli rappresentazioni: esigenze quotidiane di futili necessità, e costellate quest’ ultime da una vacuità inaudita.

Per quella giovane occidentale … erano quei paesi sviluppati non come il proprio, che egoisticamente, promulgando una mera ipocrisia affamavano quelle donne e quei bimbi di altro continente dimensionale.

Lei, inoltre … aveva ben chiara nella sua mente quella foto visionata attentamente, in quel mattino. Le sensazioni che l’ immagine gli aveva destato nel proprio animo l’ avevano lasciata sconcertata in se stessa.

Dietro le spalle di quell’ Africana s’ intravedeva il volto di quel bimbo, e anch’ esso, dolcemente rapito nel suo sguardo dentro un paesaggio vegetativo sconfinato e lussureggiante, e quasi innaturale.

Il bimbo era posto dentro un grande cesto intrecciato da rami secchi, come quei carnieri che si usavano nei nostri paesi nei primi del novecento, per la consegna dei filoni del pane cotto a legna.

“ Miranda” in quella foto interpretava la povertà dignitaria di un essere umano femminile: una donna che rappresentava l’ incarnazione della sopravvivenza e dell’ amore.

Il volto di quell’ Africana … ne rappresentava la superba fierezza sensuale e femminile colma di passionalità: un sentimento di amore etereo, nitido, e di una propria forza individuale per una profonda umanità materna.

“ Miranda” era cogitabonda in quegli istanti, e la propria riflessione la portava a misurarne la differenza culturale espressa da quel popolo, in un concetto di altruistico e puro amore universale.

Nella giovane Italiana tutto in si era rimesso in discussione in quel pomeriggio settembrino.

E i suoi momenti meditabondi si scontravano con la precarietà occidentale, nel converso, di quella splendida immagine di passione tribale.

La camera di “ Miranda” ne era colma dei suoi ricordi adolescenziali. Gli innumerevoli oggetti erano semplici indizi ben determinanti una spensierata fanciullezza distratta, e trasognante.

Quelle mura, a “ Miranda” gli apparivano in quegli istanti come fosse un ostacolo al proprio sguardo interiore: visuale alterata quella sua per una vera interpretativa del mondo.

La donna, percepiva d’ essere stata esiliata dentro un proprio mondo zeppo di comodità, e diversivi di assoluta superficialità.

Lei, che era una donna che intuiva, soltanto ora, che fuori dalla sua casa c’ era un mondo fitto di molte altre moltitudini umane diversificanti; e d’ infinite rappresentazioni viventi irrisolte.

Per “ Miranda”, il tempo stesso si era fermato in quella sua dimora, e si era addormentato nel proprio lembo di perdurata inconoscibilità.

Nella ragazza, c’ era la sensazione netta che la propria vita fosse formata da molti aspetti condizionanti.

Nella sua semplicità c’ erano state delle rappresentazioni quotidiane, ben indicanti soltanto che futili necessità di vita usuale.

La ragazza, se ne stava china con la propria testa poggiata sopra il mobile porta computer, e le proprie braccia erano flosce e cadenti fin sopra alle sue ginocchia.

“ Miranda” improvvisamente focalizzò il proprio sguardo in direzione di una fotografia appesa alla propria parete della sua stanza, dove il volto di un giovane ragazzo davanti ad un obiettivo fotografico sorrideva vistosamente.

Per “ Lei” … persino il suo “ Mattia” non era altro che un’ immagine fugace, un fuggevole ricordo.

In “ Miranda”, quell’ istantanea non suscitava più alcuna nostalgia, e tantomeno, il simbolo di un amore incompiuto. In “ Lei” non c’ era alcun desiderio di rivederlo, quel suo giovanile amore.

La donna indirizzò nuovamente il proprio sguardo verso quella donna Africana. “ Lei” stava intuendo che quella donna di colore non era altro che la rappresentazione universale di tutte le donne del mondo. “ Quella giovane negra, non era altro che, la madre di se stessa”.

Per “ Miranda”, quel volto di donna colpito da un sole cocente e solcato dall’ intemperie del proprio vissuto teneva celato in se, una profonda verità esistenziale.

La sua coetanea teneva la propria sofferenza impressa in quel suo bellissimo volto di color dell’ ambra, e i suoi occhi non era altro che, una parte esigua di una più grande verità esistenziale che profondeva una passionalità universale.

Quella “ Negra” teneva un dolce sguardo rassicurante, dove in “ Lei” non c’ era insito alcun elemento di autocommiserazione in se stessa, né tantomeno, alcuna diffidenza verso l’ altrui diversità.

Quella figura femminile evidenziava una sua innata determinatezza a un proprio fine ultimo: lei stessa era un’ esplosione di vita prorompente.

La tenacia espressiva di “ quell’ Africana” era composta di una forza non immaginabile, e la sua propulsione umana e materna s’ incarnava in un proprio effluvio d’ amore immanente.

“ Miranda” riconosceva nello sguardo fiero di quella giovane la capacità dell’ annullamento personale, a vantaggio, della nascita e sopravvivenza di una qualsiasi vita esistente.

Per la giovane Europea, il viso di quella negra rappresentava quel grido di dolore che manifestano le partorienti durante l’ atto estremo del proprio parto: urla di gioia e di patita sofferenza istantanea.

“ Miranda” d’ improvviso pensò a sua madre, una donna che camminava come fosse un fantasma silente, nel corridoio della loro casa.

Si … sua madre, che in quella propria tormentata vita esistenziale si poneva anch’ essa, ben oltre, la propria realtà individuale, per accudirne alla propria famiglia.

“ L’ oblio del vivente nel sacrificio totale; e l’ arbitrio d’ essere soggetti che si annullano ogni giorno dentro la propria sommessa congiunzione individuale, per altri esseri umani”.

“ La propria sporca necessità di sopravvivenza”.

Le tenebre interpretative, che ne avvolgono come una spessa coltre di fango, tutto ciò, che di luce e di ragionevolezza tenta di scaturirne dall’ animo materno.

Per questi principi apodittici aveva sempre lottato la madre di “ Miranda”, pur rimanendo “ lei stessa” immersa nel proprio comportamento remissivo.

“ Miranda” stava cogitabonda dentro un proprio grido afasico, e dentro una propria caverna interiorizzante. In lei c’ erano delle ombre minaccianti distendenti, e una luce opaca che non gli lasciava intravedere il proprio animo.

“ Sagome illeggibili e ombre oblunghe dentro la solitudine, che la ragazza percepiva netta in se stessa". Miranda, percepiva d’ essere attanagliata dentro una stretta mortale.

La solitudine interiore è una lunga morsa avviluppata alla mente; ed è un disagio costante verso una propria metamorfosi, che inesorabile, ne stritola le logiche inventive.

“ Miranda” era in quei momenti appercettiva in se stessa, e nella propria assoluta difficoltà di confrontarsi con la parte sua … di donna.

La sua strada era stata del tutto preordinata come fosse un sentiero disegnato dalla mano di un mirabile pittore, che lasciava intravedere un viale precostituito: una corsia lastricata e priva d’ alcun pericolo e disagio interiore.

In “ Lei” c’ era l’ intemperie della sua coscienza, che la dileggiavano: moti consci che impazziti ricercavano una propria dirittura di fuga, al proprio rimorso coscienziale.

“ Miranda” dei suoi trent’ anni ne sentiva il peso, pur essendo ancora molto giovane e molto attraente.

Erano quei giovani della sua stessa generazione che si erano sperduti in una società decadente, e priva quest’ ultima, dei valori morali.

In “ Lei”, persino “ Mattia” gli appariva come fosse un povero essere smarrito in se stesso, un uomo che vagava nella ricerca di un amore indistinto e inconsistente.

La giovane “ Italiana” iniziava a percepire che quel suo netto distacco dal mondo occidentale fosse l’ unica metodologia … per non esserne anche Lei … conformata mentalmente.

In “ Miranda” c’ era quel suo modo maledetto di sognare di se stessa, ben avviluppata in un proprio universo di solitudine interiore.

La sfera emotiva di “ Miranda”.

Tutto precipita in me, come fossi a peso morto.

Dapprima … m’ involo in me stessa, e dentro questa mia vastità, ne fluisco del mio interiorizzato universo.

Planano in allerta, a seguire, le mie pulsazioni venose che come fremiti s’ immettono dentro le mie fantasie ascensionali.

Vibrò del suono che costato, per la fruizione copiosa ed emozionale che defluisce in me.

Parole dentro altre frasi, che riecheggiano nella mia mente, e in altre flebili voci che s’ interpongono: “ D’ insieme ai miei silenzi”.

Volo in attenzione, fin dove il mio occhio possa scorgere soltanto ciò, che mi è dato ascoltare.

Il mio senso disconosciuto, timoroso, raggiunge il proprio compimento.

Giochi acrobatici di realtà e sogno mi percorrono la fantasia, mentre, le mie linee direttive del concetto s’ incurvano immaginarie.

Le mie aspirazioni e la mia curiosità che si fonde improvvisa, e che vibra all’ unisono d’ insieme al mio vivo “ esserne vita”.

“ Sono io che corro dietro di me stessa”.

M’ inseguo dentro un’ ombra impalpabile; un’ essenza la mia dal ghigno ineffabile e cadenzato.

Mi distendo con la mia immaginazione, e provo a mettermi sdraiata e sopra la nuda terra.

Sono completamente svestita … dai miei concetti precostituiti.

L’ impatto è violento, e mi sento sprofondante nella sabbia mobile del mio esistente.

Il mio sguardo interiore si è preso la propria rivincita, e il suo arbitrio si è trasferito ben più fuori dall’ orizzonte finito, che giace in me.

Estemporanee di vite parallele vivono le mie dualità dimensionali e contrapposte.

Il dolore è una necessità che mi morde.

Questo mio tormento incomposto è un afflato con i miei fantasmi coscienziali.

La felicità in alcuni giorni … è una chimera.

Mi racchiudo allora dentro la mia illeggibilità, e sigillo la parte mia femminea … che ostenta, soltanto riflessione.

< Chi è … chi è che mi sovrasta con la sua suadente voce femminile, e che mi toglie il fiato>.

Nel silenzio rivivo dei lunghi fotogrammi esistenziali, ricordi alla deriva, come fossero detriti emersi improvvisi, in me stessa.

Questa è la mia unica vita.

< Mi ripeto tutti i giorni>

Le mie labbra sono interdette, mentre focalizzo questi miei dettagli fluttuanti.

Motivazioni istintive e violente le mie, come ne può essere soltanto … il ringhio insoddisfatto di una donna incolpevole d’ esser tale.

Una femminilità, che lancia i suoi presupposti in un domani decadente.

Un futuro che è immerso in un piccolo stagno rigurgitante un efferato anonimato persuasivo.

Il non senso della vita … è la mia spavalderia.

La mia energia che tenta di rifuggire le acque inanimate dell’ altrui indifferenza.

Mi ritrovo sovente, impietrita, dentro una mia attesa scenica ed emozionale.

Ho paura delle mie stesse urla afasiche, e ho nella mia voce, il terrore d’ essere contagiata dalle altrui insignificanze quotidiane.

Le mie carni sono mutabili, per ogni giorno, che al fine decade nel tramonto.

Scorgo occhi sparuti, con quelle loro pupille di grande manifestazione arbitraria.

Cado sovente nel silenzio, e i miei molteplici dubbi riaffiorano d’ insieme alle sole … diffidenze.

“ Giammai mi relego in loculi identificativi, e spazi d’ ampie perplessità insoddisfatte”.

“ Mia madre, in questi giorni è muta più del suo necessario”.

Questa figura longilinea di questa donna che tiene quella cucciola di lince con il proprio bambino, in questo giorno, mi morde di consapevolezza.

La mia percezione sensoriale è … del tutto inversa, verso l’ altrui sudditanza emozionale.

Sono forse io … che rinnego e che fuggo i miei sogni illusori?

Sono tutto ciò che sono, una donna.

Sguardi voluttuosi e compiacenti si dimenano davanti ai miei occhi, tra sorrisi ciarlieri, fuorvianti e vuoti.

Labbra in ombra le loro, dentro gli sconcertanti estremi di superficialità.

“ Aliti spenti sono … le vacue parole”.

Uomini che hanno perduto il proprio stato identificativo, e che vagano fluttuanti nella loro mondana e superficiale frivolezza.

Mio Dio … a volte mi manca persino la logica sequenza, alle mie loquaci parole.

“ Il silenzio non m’ inganna”.

Vorrei poter definire di questa gente, la loro ignoranza spettrale.

La solitudine mia è … una pustola sprofondante: un mio perduto emozionale, non più cicatrizzante.

Tutto si compie … allora.

Un quadro velato, dove l’ immagine di una ragazza malinconica ne ammira un crepuscolo decadente.

Un mio passaggio interiore tra fronde d’ alberi informi, e ombre oscure sparpagliate: foglie marcenti in un lungo viale.

Io sono … la fosca figura che disamina il proprio non diveniente.

Immagino, ancora i suoi occhi stupiti, e le iridi attonite e melense, quando gli dissi che volevo essere dapprima rapita, da un senso compiuto.

Quante volte ricercai il tuo volto “ Mattia” tra il molteplice delle folle.

Un fiume di occhi occlusi, vi trovai lungo l’ alveo del tempo.

Quel mio vissuto gettato nel fato del mio destino.

Immagino ora, in quali meandri foschi potessero infilarsi quei tuoi pensieri di contraddittorietà, quando ti gridai che le obiezioni che mi facesti non erano altro che frasi impotenti, per il tuo coito deludente.

I nostri maledetti sogni, da bambini adulti e non cresciuti.

< Mi chiedo di sovente, quale sia il mio vero nome>.

Questa sono io tra le mie miserie interiori, che almeno dissotterro, a mani nude.

Come i gabbiani plananti e rasenti alle acque, così io volteggio dentro una mesta mia idealità.

Quando finalmente mi decido di atterrare, nel mio carattere incostante fuggono e corrono i miei convincimenti, e cadono d’ impatto sopra la dura sabbia.

Si cado … dietro un altro miraggio offertomi dalla mia mente, che tenta nella perfezione del sentimento di trovarne finalmente una propria dirittura.

I gabbiani inseguono sempre la poppa di una nave, sperando nel poco cibo lanciato dal distratto viaggiatore.

Dove sono ora le mie appetenze per quell’ amore a malapena immaginato, e dov’è quel volto adolescente che voleva fin troppo rapidamente crescere della follia degli uomini?

Dov’è che sono i miei fremiti, e di quelle lunghe passeggiate immaginate in ore e giorni saturi di noia emozionale.

Il dolore non è altro che un figlio perduto, che non vorremmo mai dover ricordare.

Mia madre si aggira silente tra le stanze della casa, e somigliano quei suoi occhi, a quelli della donna con il bimbo e la sua lince.

La mia fragile esistenza, che s’ inchina alle mie molteplici supposizioni.

Il dubbio che ossequioso mi penetra nello spirito, così poco adattativo.

Io non sono altro che un progetto gettato.

Una questua lanciata, da un poco di buono … inclemente.

Io sono una rugiada, che si concede ogni goccia di luce dentro un proprio vanto.

Eccomi, sono io.

Per la gente comune mi chiamo “ Miranda”; anche se il mio nome potrebbe chiamarsi in altre mille donne.

Eccomi, sono tra di voi, nuovamente intenta a socchiudere i miei occhi e ad inarcare, le mie folte sopracciglia.

Il ricordo di un uomo che non è mai stato mio, ed è già di un’ altra.

La verità dei suoi inganni, nelle bugie narrate dai suoi offuscati occhi.

Propendevo dentro i miei respiri, donde scaturivano lembi di baci inviolati.

La falsità è spesso assoggettata, alle mie misere paure.

Dov’è … quella donna che portava una lince dentro un fasciatoio all’ altezza del suo seno, e che caricava dietro le sue spalle, il proprio figlioletto!

Dov’è … quel suo sguardo rivolto e immerso dentro un orizzonte esistenziale; e quei suoi occhi non violati dal presente e dal futuro.

Lei è la madre di tutti noi, ma anche la madre di se stessa.

Quella donna e colei che lotta contro la credula stoltezza di ogni preconcetto idealizzato.

Tutto in me assume ben altro significato in questo giorno.

Mia madre ogni giorno di più mi guarda con maggiore attenzione e sospetto, non proferendo alcuna parola.

A volte, penso che in “ Lei” vi sia una strana supposizione sul mio conto.

Mia madre è una donna che ha portato all’ altezza del proprio seno, un fasciatoio con una cucciola di lince.

Le sue iridi, per me sono, degli specchi riflettenti i suoi medesimi timori.

I miei trent’ anni in solitudine, il mio carattere cordialmente schivo.

Il semibuio comunicativo, con cui mi esprimo in preponderanza con la distrazione della gente.

Mia madre percepisce il mio racchiudermi in me stessa, ma non ne comprende pienamente la ragione.

Sono io la figlia di mia madre, ma anche la figlia di me stessa.

Quante volte ho imprecato verso il cielo, attendendo invano una risposta, un eco, una parvenza per una flebile risposta.

Quante volte ho ingannato me stessa, sognando ad occhi aperti scene mai avvenute, parole mai proferite, e sguardi mai indirizzati.

Tutto si compie in me.

“ Miranda” la bambina, come amano chiamarmi gli altri.

Io … la donna che ha gli occhi del colore interpretativo di una lince, e che porta nel proprio grembo proprio figlio.

Io … la donna disarmante che durante il proprio ardire non ha voglia di prendersi gioco dell’ inganno.

Io sono quella cucciola di Lince, e anche l’ espressione meravigliata di quel bimbo. Io sono anche quell’ altra donna dalla pelle del colore dell’ ambra, e i suoi occhi neri che riflettono nel “ verde” dei miei. “ Io sono colui che porto nel mio grembo, e che sospinge la mia carne, per uscirne”.


Giuliano leandro loy 30/09/2012 11:55 1 1260

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«L’amore etereo e sublimato, tra dei viventi diversi antropologicamente.»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Molte volte, una foto, una vecchia lettera, uno scritto, possono essere ancore di salvezza; riescono a farci uscire da uno stato di torpore e ridarci la fiducia e la dignità momentaneamente perse. La figura della donna, della sua dignità nella maternità, della sua fierezza e rinascita è descritta con buona conoscenza dell'animo femminile da parte dell'autore. Racconto molto apprezzato.»
Grazia La Gatta

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