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Misi le mie cose nello scrigno e tra queste, libri, penne, colori e gran parte dei miei sentimenti nella cartella che portavo a tracollo e volai. La cartella la portavo sulle spalle piccole e striminzite per raggiungere la scuola situata all’ apice di una salita irta chiamata monte Olivella. Là c’era l’ uscio d’ ingresso o porta dell’ avvenire. Appena ingressato" scusate il termine non comune" tolsi le catene che strette al collo restringevano i miei bronchi carichi di ansia. Respiravo finalmente a ogni ingresso nel portone di ferro della scuola, la paura scompariva tra volti conosciuti e veli di suore pallide di viso. Oramai stavo in gabbia o pollaio, ogni sentimento di rivalsa o di resistenza a tale situazione era inutile.

Feci giusto tre passi e quando vidi Suor Sofia che io chiamavo Suor Fifì, la vecchia anziana del collegio con le chiavi che gli pendevano dalla tasca della veste religiosa, ebbi paura, scappai per le scale in cerca di libertà. Feci filone! Scappai come una lepre, me ne andai distratto con la testa tra le nuvole della mia fantasia camminando a piedi per le strade di un nulla che non conoscevo. Ero un monello! no, ero un Angelo selvaggio! Con le scarpe strette e bucate,allacciate da stanchi lacci neri, scappai di corsa sul lungo mare di Mergellina. M’ intromisi tra scogli abitati da gatti per non farmi vedere da nessun essere conosciuto. Tra coni di pietre bianche aguzze che portavano al mare, navigai tra le poesie di Moretti " Ero un ragazzo andavo a scuola,un giorno dissi a me stesso non ci vado e non ci andai, così feci..."

Come un’ atleta, cercavo il traguardo del mare saltando i coni taglienti di punte bianche e le barriere di marmo che conducevano diritto verso la schiuma salata del mare.

Arrivai indenne al tuffo nell’ acqua cristallina tra onde che impedivano il raggiungimento nel letto calmo del mare vasto e libero da catene e oppressioni. Le onde soffiate dal vento, rendevano l’ accesso alle fredde e refrigeranti acque fredde e fresche di Mergellina difficile. Gli scogli vestiti di bianco saltavano nel cristallino degli occhi come sentinelle pronte a sparare. Presi coraggio, mi tuffai, respirai, mi ritrovai nuovamente fresco come uscito da una vagina calda dopo avermi bagnato. Pronto nuovamente alla vita che mi conduceva chi sa in quale posto privilegiato, osservavo il cielo celesto estasiato i raggi del sole mi dipinsero di arancio colore. Ero felice di essere un bambino nato da poco, nato come una Venere dall'utero di un'acqua cristallina e verde. Le pareti di una venere dipinta in una casa di Pompei si intromisero nel mio pensare.

Felice ero, di appartenere a un ‘ inizio creato solo per me e nessun altro essere al mondo tra la schiuma e bolle di un'acqua salata.

Sentivo nel cuore brani di musica che mi piacevano tanto, il cuore aumentava i giri del motore, i brani erano quelli che ascoltavo per radio per i vicoli di Napoli, tra questi brani sicuramente c'era l'opera del poeta Murolo scritta da Marotta" mare verde"che tanto mi piaceva ascoltare. Ascoltavo nelle orecchie il battito del mio cuore che senza tregua batteva forte e respirava la vita insieme alla schiuma del mare e qualche gabbiano di colore bianco puro in cerca di cibo. Alcuna alga verde e scivolosa si aggrappava alle dita dei miei piedi per accarezzare la mia pelle giovane e rosea, forse l'alga verde credeva di aver trovato cibo e casa. Lentamente liberai il piede dalla stessa con una manovra veloce< spostai il piede velocemente verso l'ignoto pavimento del mare>

L’ acqua era spumeggiante e bianca, soffiava forte il vento, trasportava in se il sapore della vita, la pelle si distendeva in essa come le ali delle farfalle quando si nutrono del centro del fiore. Gli occhi arrossiti dal sale e dal vento cercavano di centrare bene castello dell’ Ovo a poco distanza, questo per farne poi una cornice perfetta alla visuale dell'esistere. Prendevo a schiaffi l’ acqua per paura, ma poi, l' amavo come i seni di mia madre, seni colmi di latte caldo. Attendevo che la stessa acqua quindi si tramutasse in latte per nutrire i nuovi nati. Le gambe ballavano leggere senza resistenza alcuna muovevano nell'acqua come quelle delle ballerine. Soffice accarezzavano le onde che il vento scherzando innalzava sugli scogli o sentinelle di spavento per mettere paura del domani. Certo, il domani non è mai stabile, né statico è vulnerabile come tutte le cose che accadono malgrado noi non vorremmo che accadessero. E' imprevedibile come il vento! Questo non lo registriamo affatto nella nostra mente e ciò avviene per assecondare la nostra ragione fragile, ragione che non misura il tempo nell’ atmosfera del momento, ma crede che stabile essa ci dona felicità eterna. Ero felice tra i cristalli dell’ acqua del mare e la salsedine del Tirreno.

Il risalire dal mare alla scogliera era difficile. Tra scaglie di scogli affilate con lame di marmo e pietre scivolose, mi accinsi alla salita ripida su di essi come un'acrobata sulla fune di un circo per essere applaudito dal pubblico pagante. Mi attendeva il premio dello stendermi sulla pelle bianca degli stessi scogli e il bacio caldo dei raggio dell'arancio che pendeva dall'albero del cielo.

Appoggia i piedi nudi su uno degli scogli camminando lentamente, nemmeno me ne accorsi della scaglie vetrate e mi tagliai la pelle che sottile si estendeva dalla radice del piede. Sgorgò tanto sangue che ci volle saliva e bendaggio di un fazzolettino di fortuna. Vedevo il mio sangue scorrere dalla ferita come quella dell'acqua che sgorga dal rubinetto. Non ebbi paura, ma provai gioia per tanta vita che dentro al mio corpo pulsava forte.

Era rosso il sangue, come il sangue delle ciliegie, o meglio, rosso come le parete dipinte nella casa dei Vitti dell’ antica Pompei. Certo, mi appartenevano e tutt'ora mi appartengono come il mio sangue queste pareti sono ascendenti per natura e vicinanza.

Amavo la vita di quei momenti, gioivo per il sole caldo e la salsedine che si depositava sugli scogli, per il vento caldo e per gli aliscafi che partivano trasportando corpi d benestanti in giro per le isole del golfo.

Ero uomo nel sale, femmina nel percepire,

madre e padre, argonauta di un mondo in scoperta con sentimenti che fluttuavano gli inni dell'armonia del tempo. Armonia ero in mezzo al sale e al vento insieme a tutti gli altri elementi della vita che come una barca a vela, mi trasportavano nel piccolo sentimento di felicità che provavo nel cuore.

Possedevo l’ amore puro in circostanze di peccato, avevo marinato la scuola e il volto di suor Sofia. Non provai risentimento nell’ abbandono di quel volto, ma lo stesso, mi pocrurava un pizzico di tristezza.

Eppure, la suora mi voleva bene, forse mi amava. Quando salivo le scale per raggiungere la classe insieme a tanti alunni, mi metteva le mani sulle spalle, facendomi sentire le sue mani, come la preferenza del suo tatto. Mi accompagnava in silenzio nella strada dell’ apprendimento, dove, con mia meraviglia incontravo suor Virgiliana, bianco il volto, dalle ossa lucide, mio primo amore, cantava parole nella mia bocca che come latte mi nutrivano del buon sentire. Era il mio primo appassionato sentimento, tra battiti allegri del mio cuore all'epoca, sognavo grandi amori. Virgiliana è stata la prima persona che con dolcezza accolse i primi passi per scrivere poi, il tema di un futuro amore. Scappò via dal covento tra i rumori del vento. Ancora vedo i suoi veli volare nel tempo passato. Nel mare di Mergellina intando, l'acqua alta salata e schiumosa, rumerreggiava dispiaciuta per questo addio inespattato, mentre la salsedine bruciava i miei miei occhi che per difendersi, lacrimavano piccole roselline come quelle incise sulle tazzine di porcellane di Capodimonte, fabbricate apposta degli artigiani più famosi per toccare le labbra rosse della regiana Maria Amalia di Sassonia che in un tempo passato regnava indisturbata tra queste meraviglie e salotti riempiti di lampadari fatti di ceramica da mani magiche di poveri sudditi . Stando attendo a non scivolare, scendevo piano dagli stessi scogli appoggiando il piede come appoggiano la punta le ballerine sul palcoscenico, odoravo l'aria circostanza che profumava di mare " del mio mare " Piangevo a singhiozzi, un dolore si era impossessato del mio cuore e dei miei pensieri per questo primo amore perso e per l' esperienza del mio primo addio verso qualcuno che ci tenevo tanto.

.


Pasqui 22/07/2012 19:22 980

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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