Si chiamava Giovanni ma tutti noi suoi amici lo chiamavamo “ ‘ O Sorice “ non mi ero mai chiesto il perché o per quale motivo gli avevano messo questo soprannome così buffo. Ci vedevamo spesso, avevo all’ epoca quattordici anni, ero appena entrato nel giardino dell’ adolescenza e i primi peli di oro colore cominciavano a spuntarmi sul viso magro e pallido. Ricordo che questo evento mi dava una certa sicurezza, stavo diventando un uomo, ora che ci penso questo invece mi fa ridere e comprendo molto bene il perché. Giovanni abitava in un palazzo il vicino a casa mia, la madre si chiamava Margherita, nome che sempre mi è piaciuto, forse perchè è il nome di un fiore, il papà invece si chiamava Costantino era un bravuomo che lavorava in una pizzeria alla Pignasecca, era magro e alto, indossava sempre una camicia bianca e un pantalone nero. La famiglia di Giovanni era numerosa e quasi tutti lavoravano per sostenere questo gruppo familiare composto se ricordo bene, da circa otto persone, madre, padre e sei figli, il più piccolo ne aveva sette. Giovanni invece ne aveva sedici di anni, anche lui lavorava come garzone in una salumeria a Montesanto.
Diceva sempre che un giorno avrebbe mollato tutto e se ne sarebbe andato via da Napoli, Torino diceva, volo a Torino città degli emigranti, all’ epoca tutti aspiravano a un posto di lavoro nella grande azienda Fiat. Mio padre ci lavorava a Napoli, ma non ne parlava per niente bene dell’ azienda, diceva che sfruttavano gli operai per pochi soldi, boh... all’ epoca già esistevano le lotte di classe, gli sfruttamenti degli operai e tutto il resto, peggio ora!
< Padrone, operaio, corpo da lavoro>
Veniamo alla nostra storia ora ci stavamo spendendo in qualche cosa che ci riguarda molto da vicino oggi ma questo è un altro tema, altra storia.
Ero molto magro da adolescente, avevo due gambette secche come due rami senza fiori, il viso magro e le mani lunghe e affusolate, lo sguardo era il mio forte, quando miravo qualcosa o qualcuno fissavo il tutto trasformando gli stessi occhi in una macchina fotografica, mi piaceva mutare quello che vedevo. Ero timido con le ragazzine, se non iniziavano loro la conversazione me ne restavo zitto per l’ eternità del tempo.
Giovanni era più spigliato, loquace e chiacchierone, uno scugnizzo perfetto con tratti somatici molto marcati, la pelle bruna e il naso come quello di Re Sole, io dicevo che aveva il naso a papacella. Veniamo al soprannome di Giovanni” ‘ 0 sorice” questa è il racconto.
Una sera d’ estate quanto il calore del sole lascia le strade al fresco venticello della sera, vidi ‘ o Sorice che tutto solo si lamentava di qualcosa. Mi avvicinai e gli chiesi di cosa si lamentasse. Lui dapprima alzò le spalle, poi con un imput frenetico mi rispose, mannaccia diceva, può essere che per colpa di questi topi non possiamo nemmeno giocare a pallone dietro la scesa del vicolo, e continuava: “ mannaccia, mannaccia” dobbiamo trovare il sistema per farla finita sta storia...
Poi, afferrandomi per mano e trascinandomi mi disse, sai che facciamo amico mio ...? Facciamo la strage dei topi. Io rimasi stupefatto, ma poi lui mi spiegò, dicendomi che i topi, erano animali squallidi e odiati da tutte le civiltà del mondo e in particolare dai contadini e dagli equipaggi delle navi, questi, dovevano morire ... Non ci facevano giocare a pallone e la maggior parte dei ragazzi avevano paura. Allora escogitò la sua strategia di guerra.
Dietro la scesa, così chiamavamo il luogo dove giocavamo a pallone c’ erano due buche grandi, piccole caverne da dove i topi ogni sera uscivano per racimolare qualcosa nella spazzatura. Ed ecco che ‘ O sorice mise appunto in opera la strategia, mi disse di raccogliere quante più pietre possibili, queste, servivano per ammazzare i topi, poi, prese due giornali vecchi li incendiò e li pose nel buco di ingresso della piccola caverna affumicando la tana. I topi, dopo cinque minuti cominciarono a uscire spaventati e confusi, e noi come soldati pronti con l’ artiglieria delle pietre facemmo strage di topi, senza pietà, ad ogni topo caduto un urlo spazzava via il mio spavento, urrà gridavo. Alla fine ne contammo venti fu una vera battaglia, ancora ho nella mente l’ immagine dei topi impauriti. ‘ 0 Sorice rideva soddisfatto, gli occhi gli brillavano era felice come un bambino che ha vinto una qualsiasi medaglia. Che scugnizzi intraprendenti eravamo! Fu una battaglia condotta bene su di un campo difficile, finalmente annientate le truppe dei topi, potevamo giocare a palloni tranquilli insieme tanti ragazzi e ragazzini piccoli.
La mattina dopo di buon’ ora mentre andavo a scuola con i libri sotto il braccio tenuti insieme da una molla di colore verde incontrai il fratello di Giovanni, Gennaro, mi chiese della battaglia condotta sui topi gli raccontai tutto mentre lui rideva a crepapelle…
Poi serio, mi disse: “ Chillo quann’ vere ‘ e sorice nun cc vere chiù “ riferendosi al fratello. Comunque “ Assa fa ‘ a Maronna ‘ e surice nù n cc stanno chiù! Putimme pazzià senza paura.
O’ Sorice era il soprannome di Giovanni, capii allora bene il perché di questo. Giovanni " ‘ O Sorice" quando vedeva un topo lo doveva ammazzare per la sua felicità e quella degli altri, e poi riflettendo bene qualche particolare del suo viso, tipo le orecchie, vedevo che erano simile a quelle dei topi, strette e allungate. Ecco quindi il soprannome particolare. Svelai in quest ‘ occassione di pensiero l’ arcano di questo soprannome <’ O Sorice> |
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