Certo che tra il voler essere e l’ essere ci passava una grande differenza, come il dilemma che tutti proviamo:“quale è stupidamente essere o apparire”. Navigavo a vista, a volte mi sdraiavo sulla sdraio fuori al terrazzo tra la pioggia e il vento ascoltando musica mentre le piante sorridevano al vento impetuoso, ero felice quando lo facevo, ero vivo mentre mi riparavo dal vento incessante e dalle gocce di pioggia che mi bagnavano il viso. Si ero vivo, il mio cuore pulsava ritmaticamente in armonia con il resto, cercavo nei meandri dell’esile essere che ero, si lo ero, eccome. Ma non mi arrendevo, cercavo tra le note musicali il calore, il torpore dell’esistere. In realtà, cercavo altro non insegnatomi da nessuno mai, la mia mente si muoveva in autonomia, sfrecciava il cielo come un aereo di ultima generazione, faceva piruette e virava a testa in giù per poi risalire nel vuoto del cielo. Non ero felice, questo sentimento mai mi era appartenuto, ma ero contento di essere me stesso tra pioggia e vento, e contento di essere elemento della natura stessa. Mi immaginavo in un salone grande a ballare il valzer con la dama armonia. Credevo in me, credevo nella ricerca iniziata da quando ero piccolo, tra le rovine di un palazzo pericolante e cianfrusaglie varie. Allora mi sentivo un re, un piccolo re padrone di pietre e di cose inutili abbandonate per la troppa fretta da chi era rimasto senza dimora. Cercavo da molto tempo la mia unione con il tutto, forse un segmento rimasto imbrigliato da un'attività della mia anima precedente, chissà. La musica esaltava il mio cuore, lo faceva ballare insieme ai cigni nel lago della tranquillità, la solitudine mi faceva compagnia e l’ amore che provavo era il coronamento del mio divenire. Ero nato ricco, pieno di me, mia madre mi aveva allattato bene. Anche se mio padre era stato un fantasma, ero riuscito a proiettare la sua figura su di un altro essere umano, magia del concepimento e solidarietà a pagamento. C'ero riuscito, la nascita di figure e di valori emersero dal mio lago come un miracolo. Nella ricerca, avevo creato le tracce del mio percorso umano. Per il resto, non mi interessava null’altro che vivere, respirare e comprendere. C'ero quasi, dovevo solo sperimentare l’unione degli opposti aggiustando la mira, in poche parole fare combaciare tutti i pezzi della scacchiera in una sola figura, forse era questa la strada per giungere all’apice dell’ amore e quindi a quel sentimento forte per ascoltare l’alito di Dio, ovvero l’amore sano, quello che stravolge i cuori e irradia gli esseri di luce, chissà. Amavo la vita, meglio ancora il mio essere vivo e lo ero tra pioggia e freddo, tra folate di vento e piante parlanti. Sorridevano quando le accarezzavo e quando le sfioravo ridevano, evidentemente le solleticavo. Ero felice da solo, in modo particolare quando il silenzio mi avvolgeva con la sua coperta senza fare rumore, oppure, quando accompagnato da un sottofondo musicale tenevo il mio sigaro preferito nella bocca stretto tra i denti. Cercavo nel silenzio, scavavo, annusavo, mentre le mie orecchie si rizzavano per ascoltare ogni piccolo movimento che accadeva dentro e fuori di me, a volte sembravo un cane . Rotolavano a volte i miei pensieri, altre volte, scalavano cime alte, altre ancora, pigri, non producevano né ritmo né idee. Tutto dipendeva dalla fabbrica che si trovava nel cuore, dalla legna che ardeva e dalle circostanze naturali che susseguivano quotidianamente. Nel frattempo, mentre il vento sobillava e la pioggia scrosciava la sua pelle nell’umido del freddo, mi allenavo con lo scrivere per rendere la mia voce chiara a me stesso e della poesia, che avevo fatto strumento di evoluzione, conservavo bene il profumo, profumo che a volte era aspro, a volte dolce per il parlare del mio cuore. Era l’inizio di un nuovo anno, mi rimboccai le maniche della mia camicia fatta di pelle andando avanti per la mia strada . Strada che forse giusta, forse sbagliata, ma sentita, mi donava l’illusione di esistere in questa atmosfera di buio totale esistenziale. Tra scimmie e babbuini mi arrampicavo sull’albero alto per scorgere la luce del sole.
Mi muovevo lento, tra personaggi e storie. Narciso e Boccadoro mi sorridevano, Giulietta e Romeo felicemente si sposarono. Leggero mi muovevo tra spirito e materia, tra il rosso colore e il pallido grigio, tra il giorno e la notte leggevo le Mille e una Notte. Cercavo di mettere insieme gli opposti nel mio tenero cuore. Muovevo gli scacchi lucidi di bianco. Sopra la scacchiera cercavo di raggiungere la Regina e di imprigionare il re. Il mio cammino era spedito, spedito come un treno sulle rotaie, come un Boeing ad ogni partenza. Cercavo la fusione non il compromesso. Ogni giorno lucidavo la scacchiera, così le dame e i cavalieri che erano i miei pensieri.
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