Pediscigabbenon, come lo chiamavano tutti ad Amardolce perché usava sempre questa parola quando parlava in un italiano strascicato, aveva lavorato così tanto la terra fino all’ età di trent’ anni che la sua schiena aveva assunto la forma di un aratro.
Poi, in un’ uggiosa mattina d’ autunno, cadde pesantemente da un albero di olive e si ruppe la spina dorsale e da quel fatidico giorno la sua vita cambiò letteralmente.
Ricevette una cospicua pensione dallo stato, sposò una cafoncella che rischiava di rimanere zitella per quanto fosse brutta e racchia, e smise di lavorare per tutto il resto della sua vita.
Ingrassò come un maiale, a causa dell’ inattività forzata, e si spostava da un’ osteria all’ altra in groppa alla sua fiammeggiante carrozzella rossa, come un ussaro a cavallo prima di una battaglia cruenta.
Nel 1899, nacque finalmente Nicolò che Pediscigabbenon coccolava come un piccolo principe perché lo considerava un dono del cielo.
Quando sua moglie gli confidò d’ essere incinta, l’ uomo si fece accompagnare a Lanciano, dove passò tutta la notte con una baldracca per festeggiare l’ evento.
Da allora, trascurò definitivamente la moglie per dedicarsi esclusivamente al figlio che crebbe in un ambiente sui generis ed esageratamente protettivo.
Con i soldi che si era messo da parte grazie ad un’ eredità ricevuta da un lontano parente che era emigrato in America e di cui nessuno si ricordava, comprò un vigneto in contrada Pincianesi.
Si vantava con tutti gli avvinazzati delle osterie che quella vigna gli avrebbe dato così tanta uva da far morire d’ invidia tutti gli amardolcesi che gli volevano del male. Passava la maggior parte delle sue giornate ad ammirarla. La guardava con la stessa perfidia che luccicava nei suoi occhi grigio- verdi quando si recava al bordello per scegliere la prostituta con la quale avrebbe passato mezz’ ora di “sana spensieratezza”.
Le cose più importanti della sua vita diventarono suo figlio e la sua vigna. In pratica, la devozione che nutriva nei confronti della sua vigna e del suo erede era così forte da diventare un tutt’ uno. Le prostitute erano soltanto, per così dire, il trait- d’ union che congiungeva l’ amore paterno a quello mistico.
Non parlava mai della moglie che morì qualche anno dopo la nascita di Nicolò. Si recava al cimitero soltanto in occasione della commemorazione dei defunti e non si fermava neanche a pregare sulla sua tomba perché, come dicevano le male lingue, si limitava a lanciarle, dalla sua carrozzella rossa, un mazzo di fiori selvatici che aveva raccolto nel suo vigneto.
Niccolò diventò grande grazie all’ aiuto di un’ amica di famiglia che si prese la briga d’ allevarlo quasi per pietà.
A Natale, o in occasione di feste religiose paesane, Pediscigabbenon le regalava una misera somma di denaro o un cesto di derrate alimentari in cambio di un’ amicizia apparentemente disinteressata, poi la donna si trasferì inspiegabilmente nella sua masseria.
Nonostante la sua nuova compagna fosse più giovane e attraente della moglie, Pediscigabbenon continuava a frequentare assiduamente le osterie e i bordelli. Era perennemente ubriaco. Andava a zonzo con la sua carrozzella con un fiasco di vino sulle ginocchia. Entrava nelle cantine, si avvicinava al bancone e chiedeva al barista il solito bicchiere di vino. Rincasava molto tardi la sera e, spesso, picchiava la compagna perché era convinto che non gli fosse fedele. In realtà, era una scusa per scaricare su di lei tutte le sue frustrazioni e la sua cattiveria. Spesso, le scene di violenza avvenivano sotto gli occhi impauriti del bambino. Qualcuno asseriva che le violenze fisiche continuavano anche dopo, nella stanza da letto, quando il bambino dormiva.
Con il passar degli anni, Pediscigabbenon diventò ancora più perfido. Chiudeva la compagna in casa, per paura di essere tradito, e si portava appresso la chiave che sbatteva rumorosamente contro le ruote posteriori della carrozzella.
Nicolò visse in quell’ ambiente claustrofobico e deprimente fino alla primavera 1917, quando arrivò quella fatidica cartolina della chiamata alle armi che gli avrebbe permesso di abbandonare quella famiglia sgangherata e di sottrarsi ai soprusi del padre che continuava a picchiare la compagna e a trattare la vigna come se fosse un essere umano.
Per Nicolò, la guerra era soltanto un rumore di fondo e pertanto accolse l’ avviso di precetto come una benedizione di dio.
Pediscigabbenon prese la cartolina tra le mani e la lesse ad alta voce:
COMUNE DI AMARDOLCE
Ufficio IX – LEVA E SERVIZI MILITARI
Il sottoscritto Sindaco del Comune di Amardolce, visto il decreto Luogotenenziale n. 112 in data I febbraio 1917, e la Circolare del Ministro della Guerra n. 277 in data 19 Aprile 1917,
PRECETTA
Il giovane Nicolò ********* figlio di ********** iscritto nelle liste di leva, per la classe 1899, n. 113 a presentarsi innanzi al Consiglio di Leva, nell’ apposita sede di via *******, il giorno 18 Maggio 1917 alle ore 8. 30 per ivi essere sottoposto a visita e, se idoneo, arruolato.
Nel caso di residenza all’ estero, lo avverte che potrà regolarizzare la sua posizione presso la Regia Autorità diplomatica o consolare del luogo in cui dimora, nei termini e nei modi indicati nelle avvertenze retroscritte.
Gli rammenta poi che, in ogni caso, non ottemperando all’ invito, incorrerà nella dichiarazione di renitenza.
Amardolce, 25 Aprile 1917.
Il Sindaco
Inghiottì la saliva con difficoltà e il suo viso si contrasse in un ghigno di dolore. Alla cantina, dove si recava tutti i giorni, un vecchio garibaldino gli aveva detto che stavano chiamando i ragazzi del ’ 99 e che le probabilità che chiamassero suo figlio erano minime perché l’ Italia stava vincendo la guerra.
Dopo la partenza del figlio per la guerra, Pediscigabbenon divenne sempre più prepotente e dispettoso. Si recava ogni sera alla sua vigna, armata di fucile da caccia, perché era convinto che qualcuno gli rubasse l’ uva per compiere messe sataniche. Rimaneva di guardia fino all’ alba, dopo essersi scolato un intero fiasco di vino.
Fu poco prima dell’ alba dell’ 11 ottobre 1917 che avvenne la disgrazia. Pediscigabbenon si apprestava a rientrare a casa, dopo essere rimasto di guardia tutta la notte al vigneto, in una specie di dormiveglia comatoso, quando un rumore destò la sua attenzione. Alzò la testa e vide in lontananza un’ ombra che si avvicinava alla vigna. Levò la sicura al fucile da caccia, caricato a pallettoni, bevve l’ ennesimo sorso di vino, e aspettò in silenzio che l’ ombra fosse a tiro. In un raro momento di lucidità, prima di sparare, si rese conto che si trattava di un giovane militare. Prese la mira e sparò un solo colpo in direzione dell’ uomo che si accasciò al suolo senza emettere un solo grido. Pediscigabbenon si avvicinò al corpo riverso per terra, con la sua carrozzella rossa, con il fucile spianato e si rese conto che era suo figlio Nicolò che stringeva ancora tra le mani un grappolo di uva.
In caserma gli avevano dato una licenza premio prima che partisse per il fronte e Nicolò voleva fare una sorpresa al padre. Una sorpresa che gli costò la vita.
Pediscigabbenon, in preda alla disperazione e al rimorso, visse in mezzo alla miseria più squallida, perché la sua compagna l’ abbandonò, e morì di crepacuore proprio il giorno di Natale.
Al suo funerale, non c’ era praticamente nessuno.
Il suo vigneto prese misteriosamente fuoco a causa di un incendio doloso provocato da mani ignote.
Nel posto preciso in cui avvenne l’ omicidio, gli amardolcesi asseriscono di sentire ancora oggi, dopo quasi un secolo, soprattutto durante la vendemmia, il rumore metallico della carrozzella di Pediscigabbenon che vaga senza meta, alla ricerca della sua vigna, intonando una ninna nanna straziante che svanisce con le prime luci dell’ alba.
Parola intraducibile che potrebbe significare “ pietà sì, ma gabbo no”.
Durante laprima guerra mondiale, ragazzi del ‘99 era la denominazione data ai costritti negli elenchi di leva che nel 1917 compivano diciotto anni e che pertanto potevano essere impiegati sul campo di battaglia.