L’ uomo dai capelli argentati ritornò ad Amardolce, durante il boom economico, dopo aver passato molti anni della sua vita a Los Angeles.
Era partito per gli Stati- Uniti subito dopo la Seconda Guerra Mondiale per cercare fortuna oltreoceano ma, a causa di una serie di disavventure economiche e amorose, era stato costretto a tornare al suo paese natio.
Era pressoché uno sconosciuto per quasi tutti gli abitanti del paese che lo chiamavano «Volpe argentata».
Soltanto le persone più anziane lo ricordavano vagamente perché sua madre, rimasta vedova molto giovane, aveva venduto un terreno edificabile al centro del paese per pagargli il biglietto di sola andata per l’ America.
Era letteralmente svanito dalla memoria degli amardolcesi fino a quando non riapparve misteriosamente al paese, in un giorno particolarmente nuvoloso, scendendo dalla corriera delle otto con una valigia di cartone e un bastone di legno lavorato a mano che non abbandonava mai.
S’ installò nell’ unica pensione di Amardolce, dove rimase per quasi un mese, poi non avendo più denaro per pagare la pigione, si sistemò provvisoriamente dietro la « Fontana Monumentale», dormendo in un sacco a pelo, in mezzo alle foglie morte e all’ odore nauseabondo dell’ urina riversata dagli avvinazzati durante la notte.
Il sindaco, preoccupato più dalla data delle prossime elezioni comunali che dalle lamentele mossegli dagli abitanti del paese, gli assegnò d’ ufficio una casa popolare, senza peraltro convocare neanche la giunta per trovare una sistemazione al forestiero.
Dopo essersi sistemato nel nuovo alloggio, «Volpe argentata» passava la maggior parte del suo tempo, seduto su una panchina di ferro battuto, a scrutare la Majella.
Nessuno gli si avvicinava perché, a dire il vero, il suo corpo emanava un odore sgradevole, forse dovuto alla scarsa igiene, che allontanava chiunque cercasse di istaurare con lui un qualsiasi contatto umano.
Indossava sempre gli stessi abiti, durante tutti i giorni dell’ anno. Un cappotto finto cashmere, che appoggiava sulla panchina durante l’ estate, un’ orribile camicia a quadretti, un paio di pantaloni neri e un paio di scarpe sfondate.
L’ inseparabile bastone era sempre a portata di mano e lo portava con sé anche quando si spostava per andare a bere alla fontana.
La panchina, diventata ormai la sua dimora diurna, s’ impregnò anch’ essa dell’ odore tipico, come dicevano le malelingue, delle volpi argentate e che tale fetore era un eccellente meccanismo naturale di difesa contro i predatori più grandi. I cittadini più colti parlavano addirittura di un odore chiamato skunky che scoraggiava anche gli esseri umani ad avvicinarsi alle loro tane.
La solitudine divenne la colonna sonora della sua esistenza.
Soltanto una volta, la sera prima delle elezioni comunali, il messo comunale si avvicinò alla nauseabonda panchina e gli scaraventò addosso il fac- simile di una scheda elettorale, con la stessa noncuranza del cacciatore di frodo che getta un osso al suo cane spelacchiato.
Durante la brutta stagione, quando la neve ricopriva di bianco il giardino, «Volpe argentata» camminava attorno alla « Fontana Monumentale», a forma di conchiglia, bestemmiando tutti i santi del paradiso, a uno a uno, in ordine alfabetico.
Poi, quando giungeva il tramonto e il sole svaniva dietro la Majella, s’ incamminava verso casa con un passo lento.
Fu durante il mese di febbraio, il più freddo in assoluto ad Amardolce, che «Volpe argentata» fece amicizia con un cane randagio che lo seguiva come un’ ombra.
La sua panchina rimaneva vuota, anche quando era assente, perfino durante le giornate estive, perché la gente diceva, tra l’ altro, che portasse sfortuna.
All’ alba di un giorno d’ inverno, gli operatori ecologici pagati dal comune per spalare la neve, li ritrovarono morti assiderati insieme, l’ uno abbracciato all’ altro, come in un vecchio film strappalacrime americano in bianco e nero.
Il cadavere di «Volpe argentata», ricoperto da un lenzuolo bianco, fu lasciato per tutta la giornata in mezzo alla neve, in attesa del magistrato, e la salma del cane fu gettata su un cumulo di neve dove rimase fino alla primavera.
Fu allora che il sindaco di Amardolce, forse impietosito dal suo drammatico decesso, che fece inorridire i benpensanti del paese, fece un’ indagine presso le autorità competenti per scoprire qualcosa di più sulla vita di « Volpe argentata».
Il sindaco di Amardolce ricevette dall’ addetto culturale dell’ ambasciata italiana di Los Angeles il seguente fax:
Mario Paolino, nato ad Amardolce
in provincia di Chieti (Italia)
il 3 marzo 1924 e residente a Los Angeles all’ indirizzo: 8701 Beverly Blvd, West Hollywood, 90048- 1803, ha svolto l’ attività di custode, presso
il « Los Angeles County Museum of Art». Il 15 agosto 1950 è stato arrestato perché accusato d’ aver compiuto una rapina a mano armata durante la quale fu ucciso un uomo di colore. Dopo il processo durato sei mesi, il detenuto Mario Paolino fu condannato a morte e rimase nel braccio della morte, in un carcere di Los Angeles, fino al 29 gennaio 1953 quando il giudice federale Daniel Murphy sancì l’ esecuzione capitale tramite sedia elettrica. Fu condotto pertanto sulla sedia elettrica per ben due volte, ma per motivi inspiegabili, o forse soltanto per un guasto tecnico provvidenziale, non morì nonostante l’ elettricista agli ordini del boia gli immettesse la corrente per la durata di due minuti e diciotto secondi variando il voltaggio da 500 a 200 volt. La notizia fece scalpore in America, soprattutto nella comunità italiana e così il giudice Daniel Murphy, credente fervente e superstizioso, decise di fargli scontare il resto della pena in prigione. Il 24 dicembre 1959, fu arrestato un uomo legato alla mafia che si autoaccusò dell’ omicidio
affibbiato a Mario Paolino. Fu scarcerato il 17 gennaio 1960 e, dopo aver svolto i più disparati lavori negli U. S. A., ritornò in Italia nel 1961. Dal 1961 non si hanno più notizie di Mario Paolino.
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Mario Paolino, alias «Volpe argentata», che era sfuggito miracolosamente alla corrente della sedia elettrica per due volte, accusato di un omicidio che non aveva commesso, tornò nel suo paese natio dove morì in compagnia del suo fedele cane su una fredda panchina di Amardolce.
Nel 1968 la giunta comunale del ridente paese abruzzese gli intitolò una strada alla memoria.
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Il 18 ottobre 2020, al XXXI Edizione del Premio Letterario Nazionale « Città di Pinerolo» (Torino), con il Patrocinio dell’ Assessorato alla Cultura e dell’ ANPI, il racconto ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria, con la seguente motivazione: « Si tratta di un racconto incentrato sulla figura di un emigrato di ritorno, fenomeno per certi versi comune in una regione segnata fortemente dall’ emigrazione come l’ Abruzzo. La stranezza consiste nel fatto che costui, cioè il protagonista, definito poi Volpe bianca, finisce per fare la vita da barbone. L’ autore usa un linguaggio scorrevole, a tratti anche rude ed ironico, quando descrive le sue manie comportamentali o le reazioni degli abitanti. È una storia che si consuma tra l sponde di due continenti e che trova il suo epilogo triste tra l’ indifferenza dei concittadini da una parte e la solitudine del povero cristo dall’ altra, il quale sfoga i suoi lamenti sotto lo sguardo muto delle sue austere montagne. Un personaggio certamente insolito, che rimane abbottonato al suo segreto, svelato solo la sua scomparsa. L’ abilità dell’ autore sta nel rimarcare l’ insensibilità della gente, la chiusura verso lo straniero, il rifiuto della solidarietà, il pregiudizio: disvalori che tra l’ altro solitamente non si colgono nell’ animo degli abruzzesi.
Nell’ evidenziare tutto ciò il racconto entra nel vivo della tematica dell’ ANPI sul tema del razzismo. La Giuria, pertanto, decide di premiare il suddetto testo come miglior racconto».