A dispetto degli sforzi fatti per non pensarci, anche quest'anno il Natale si apprestava ad arrivare con il suo carico di ricordi e malinconie.
Non aveva più alcun desiderio di festeggiarlo da quando la sua Emma lo aveva lasciato, otto anni prima.
Se ne era andata così, con la leggerezza con cui aveva vissuto. Un mattino di primavera inoltrata, quando le magnolie in giardino erano in pieno fulgore, lei non si era più svegliata.
Avevano trascorso insieme trent'anni e nulla e nessuno era riuscito a riempire quel vuoto, neppure i suoi figli e la sarabanda di nipoti, che puntualmente lo reclamavano accanto, soprattutto in quel periodo di festa.
Era lì, seduto sulla sua vecchia poltrona a guardare il fuoco nel camino, in attesa. Che cosa aspettava non avrebbe saputo dirlo, ma per lui il Natale era diventato orami solo questo: l'attesa che quei giorni avessero fine.
Portava nel cuore il ricordo dei Natali di tanti anni prima, di quando la febbricitante eccitazione dei suoi ragazzi per quei giorni di festa, contagiava persino l'aria, lo aveva sempre pensato: il Natale si poteva davvero respirare.
Il giorno della Vigilia di Natale Emma trascorreva buona parte della sua giornata tra fare la spesa, cucinare e addobbare la casa: ma l'albero erano soliti decorarlo solo quando i ragazzi venivano messi a letto, tra risate e gridolini di protesta...
Quando, finalmente la casa si quietava, allora si sedevano l'uno accanto all'altro e organizzavano il lavoro, mano nella mano, godendo di quei momenti.
Emma finiva di impacchettare i doni e lui si dirigeva in soffitta a recuperare il baule con tutte le decorazioni e mentre saliva i gradini della vecchia scala a chiocciola, sentiva il meraviglioso peso dello sguardo di Emma su di sé, e per questo, sottovoce, ringraziava Dio.
Ma come erano lontani quei tempi, col dorso della mano si asciugò una lacrima e pensò davvero di essere invecchiato tanto se non riusciva più a trattenere le emozioni.
- Su vecchio mio, voglio il mio albero, quest'anno! – Una risata argentina, ruppe il silenzio della stanza.
Era la voce di Emma! Lo stupore lo fece balzare in piedi, si diede mentalmente anche del visionario e mentre il suo cuore riprendeva un battito normale, il cigolio di una porta che si apriva gli fece trattenere il fiato. Era la porta della soffitta. Con circospezione si avviò su per le scale e difatti trovò la porta aperta. Accese la luce ed entrò nella polverosa soffitta. Si guardò intorno: tanti pezzi della sua vita familiare erano lì: ogni oggetto un tassello, un ricordo preciso.
Si diede dello sciocco e stava per tornare in salotto, ma l'eco di quel desiderio si fece nuovamente strada nelle sue orecchie: - Su vecchio mio, voglio il mio albero, quest'anno! – Si voltò di nuovo verso l'interno della soffitta e solo allora si accorse che il baule con tutte le decorazioni era aperto.
Si avvicinò incredulo, inginocchiandosi di fronte alle stelline, agli angioletti, alle palline colorate e con un groppo in gola, sfiorò con delicatezza tutti quegli oggetti.
Portò giù in salotto il vecchio albero e poi le decorazioni, prese la scala dal ripostiglio e cominciò il suo lavoro.
Quando pose la stella in cima all'albero, nel suo riflesso argentato scorse il sorriso soddisfatto della sua Emma, si voltò di scatto mentre il vecchio pendolo scoccò i dodici rintocchi e col cuore gonfio, ringraziò Dio per aver ritrovato, ancora, il meraviglioso peso dei suoi occhi su di sé.