Passeggiavo spesso per Via Toledo quand’ ero giovanotto. Gli amici mi trascinavano tenendomi il braccio: " Avevano paura che scappassi". Scappavo spesso a loro insaputa, nemmeno se ne accorgevano quando lo facevo. Navigavo sulle labbra delle commesse dei negozi con le vele spiegate in cerca di un’ isola d’ amore. Toccavo le loro labbra rosse colorate dal rossetto, accarezzavo i loro lunghi capelli neri corvino, biondi, ramati sognando l’ amore; Ovvero sognavo un cuore grande, come una brocca colma d’ acqua fresca, dissetarmi:" Avevo tanta sete." Mi sperdevo a mia insaputa e quando esalavo da me verso l’ amore sempre qualcuno mi distraeva riportandomi sulla strada lastricata di Via Toledo tra la gente. Erano gelosi i miei amici delle mie dipartite, dei sogni e dello scomparire improvvisamente per posarmi sulle labbre delle commesse dei negozi. Erano altri tempi... Ancora conservo nella cassaforte che è la mia anima determinati momenti e sentimenti che ancora a distante del tempo passato emergono portandomi allegria. Momenti che sono come gli strati delle rocce, non aspettano altro che di essere scavati. E quando scendo come un palombaro dentro di me e li tiro fuori rivivo me stesso in quel preciso momento, sento i miei passi sull’ asfalto, avverto i profumi, incontro sorrisi, sento l’ odore e ancora vedo le commesse sorridenti che puliscono sorridendomi le vetrine di Via Toledo. Tutto questo forse sarà magia, si magia, ma anche malinconia di quei tempi spensierati vissuti con un’ innocenza angelica. Malinconia di momenti di spensieratezza vissuti come se il mondo fosse stato semplicemente il giardino dell’ Eden, con tutti frutti più gustosi messi a mia disposizione per volontà Divina. Ero proprio un credulone, nessuno ancora mi aveva spiegato che a tutto c’ era un prezzo emotivo e non, un prezzo da pagare per ogni conquista fatta, per ogni desiderio che veniva a galla dall’ inquieto mare che si muoveva dentro di me. Quel prezzo che poi ci fa diventare uomini, quella tassa emotiva e pratica che ci rende poi consapevoli della nostra forza e dei nostri desideri, ci levica, ci afffina a danno dell’ innocenza innata.
Eravamo puliti come la luce delle stelle, ci tremavano le gambe solo per dire un ciao, e se penso alla banalità delle scuse che ci inventavamo per attaccare bottone mi viene da ridere così tanto che quasi crepo. Una delle tante stupide scuse era quella di chiedere l’ ora pur avendo l’ orologio al polso, madonna mia, che figuraccia a volte. Qualche ragazza scocciata diceva: " Guardala dal tuo orologio l’ ora! " Così capitava che l’ inferno ci inghiottiva o meglio, mi inghiottiva mentre immaginavo il demonio che con le fauci aperte e i denti affilati che azzannava il mio corpo per divorarlo. Altra scusa era quella di far finta di non vedere la ragazza e di andarci a sbattere contro, ma poi, nemmeno il coraggio di chiedergli scusa avevo e tutto finiva li con una retromarcia vergognosa.
Ridevamo tanto poi, questo, per nascondere l’ impaccio e la nostra stupidità e le vampate di rosso calore sulle guance. Eravamo bravi ragazzi, compagni di scuola e di chiesa, facevamo i chierichetti per servire messa e per essere protaconisti domenicali, ma anche, forse soprattutto per farci notare dalle ragazze, Eravamo angeli con la bella tunica nera che arrivava giù ai piedi con sopra una casacca bianca merlettata e ricamata con tanto amore. Che bello indossare queste vesti, che buono l’ odore dell’ incenso nelle narici, che meraviglia la giovinezza, la sfrenata fantasia e la curiosità di quei tempi. A volte, ricordo che mi ritrovavo faccia a faccia con i Santi e ci parlavo, altre, di immaginavo di essereuna bella statua importante al centro della chiesa: S. Pasquale Baylon" Quante risate dentro di me e quante cotte inutili. Una domenica decisi che quella doveva essere l’ ultima che passassi da solo. Così decisi che ad ogni costo dovevo dichiararmi alla ragazza di turno, alla quale, avevo investito i miei sentimenti; La ragazza in quella occasione si chiama Gabriella, era più grande di me, aveva capelli lunghi e viso tondo, ci guardavamo da una vita ma poi tutto finiva in quelle occhiate di speranza da parte mia e sua, sempre mi riproponevo di manifestarle il mio sentimento, ma poi mai ci riuscivo, avevo paura, della spinta eccessiva del mio provare, di avere un netto rifiuto e scomparire nelle pene dell’ inferno tra fiammoni di fuoco.
Una Domenica di primavera, ricordo che feci scommessa con me stesso e con un mio amico di nome Francesco al quale raccontavo le mie pene emotive, gli dissi che finalmente era arrivata l’ ora della grande prova di fuoco.
Al finire della messa, immediatamente, mi tolsi la tunica e la casacca bianca immacolata, mi pettinai i biondi capelli e corsi fuori. Già servendo la messa mi batteva forte il cuore, ad ogni occhiata con Gabriella la mia anima affannava, mi girava la testa, la pancia emetteva strani rumori. Comunque questo non mi spaventava affatto, mi spaventava sola il fatto di guardarla diritta negli occhi. Lei, Gabriella, quella domenica era vestita a festa, indossava una camicia bianca e una gonna lunga di colore marrone, sembrava ai miei occhi la donna perfetta, una piccola madonna, quella da sposare e starci insieme un’ intera vita; Corsi facendomi spazio con forza tra i fedeli, quasi, li trascinavo a terra per correre, intravidi la bella Gabriella e la chiamai forte, il suo nome uscì tremolante dalla mia bocca, Lei, si fermò, attese che io la raggiungessi, la raggiunsi, e quando avvenne che gli stavo vicino, le gambe cominciarono a traballare, tremavo tutto, la voce non mi usciva, sudavo, l’ anima voleva scappare dal mio corpo, oh Dio… In quale situazione mi ero messo. Non potevo starmene là impalato, mi dicevo forza che ce la fai, feci uno sforzo enorme, raggrupai tutte le energie in un solo tempo e gli dissi velocemente: "Senti Gabriella ti vuoi mettere con me? " Uscita da me questa frase, non ressi oltre, non attesi nessuno risposta dalla sua voce, tutto improvvisamente crollò come un castello di carta, non resistetti un solo minuto in più ai suoi occhi, l’inferno mi inghiottì, scappai via con la coda tra le gambe snelle. Avevo provato l’ angoscia del rifiuto, avevo avuto paura, paura forse che mi avrebbe potuto dire: Si, stiamo insieme ".
Non la vidi più, abbandonai la chiesa i suoi occhi e tutto il resto per la vergogna. A pensarci oggi, mi viene da ridere, ma allora fu una tragica la ritirata.
Ti gusto sulla lingua come le fragole. Cerco nel tuo dentro il principio creativo e la scintilla che accende l’ ardere del mio fuoco.
Ti bevo succo d’ ambrosia. Mangio il tuo miele.
Ti accarezzo.
Cerco di scavare oltre la fortezza
della tua bianca pelle con le mia dita.
Cerco il tuo spirito ad ogni costo,
cerco l’ inizio in te.
Ti annuso come un cane da tartufo:
" Profumi come la rosa dissetata dalla rugiada ".
I tuoi occhi due brillanti.
Sono gemme rubate al fuoco della terra.
Luccicano le tue pupille
come luccicano le stelle, corone del
cielo, riflettono i tuoi occhi
specchi di labirinto,
strade che si intrecciano
nei vicoli dei sentimenti
dove ci si sperde: " L’ amore rapisce,
è rapace come le aquile,
ti afferra, ti divora...
E’ ragnatela fatta con fili di luce.
Mandorla bianca l’ ovale quadro del tuo viso.
Il tuo sorridere apre la porta del sospiro,
sospiro che mi viene meno quando ti vedo.
Per te bambina mia che ancora corri a piedi
scalzi sul prato verde della mia anima.
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