cap 17
Il loro bacio era stata un'esplorazione dolce, ma che acquistava una forza dirompente, che confondeva tutto di loro. Sentivano i loro cuori, le mani tremavano cercandosi.
Erano piccoli baci che dapprima si sfioravano con timidezza, le loro lingue si lambivano lievi, vivendo lenta sempre più intensa confidenza. La bocca di Irene sembrava quasi inconsciamente resistere, quasi sorpresa della sua stessa dolcezza e della dolcezza che riceveva, la sua bocca cercava quel bacio, ma le pareva un sogno; il suo inconscio resisteva, ma era una trama che iniziata non si poteva più fermare, il suo filo si dipanava. Svanite tutte le esitazioni, il loro bacio si faceva libero e giocoso.
Mentre i loro occhi si desideravano, parlandosi in silenzio le parole che solo gli occhi possono dire, le loro labbra e le loro lingue si donavano fluidamente. Cercavano in quel gioco fuori del tempo e dello spazio, interezza: il sentirsi oltre quella separazione che sembra sempre intrinseca all'individualità.
Era gioia forte, il sentimento che provavano nel trovarsi in una dimensione dove quella separazione non esisteva più. Era il bacio più lungo e vivo che avessero mai conosciuto, perchè era quel desiderio di interezza.
Che mi succede
in questo giorno strano
non sento vuoto
dentro la tua mano
scorre il sangue caldo
dentro le mie vene
e nei tuoi occhi
se ne vanno le mie pene
sembran giochi
i nostri baci
dapprima dolci
quindi audaci
stringimi forte
che io ti stringo
non più soli
nel nostro fuoco
quasi tocco
il tuo mistero
troppo è grande
e non mi sembra vero
varcar quel limite
non concede il fato
ma di toccarlo
gli son grato.
Minuto dopo minuto la loro tenerezza si era fatta completamente fluida, diventata vulcano, che, dopo aver superato tutte le sue resistenze, dilaga, ricoprendo della sua energia lavica cosa incontra.
Mentre le loro bocche si amavano, le mani si stringevano, cercavano i corpi. Ogni carezza entrava in loro come un'onda profonda che si diffondeva in tutto il loro essere.
In questo turbinio di effusioni il loro desiderio di amarsi liberamente e interamente si faceva impetuoso, non c'era ragionamento o pensiero, c'era solo l'irresistibile impulso di quelle loro emozioni che li rendeva desiderosi di potersi unire, di più.
Non serviva dirlo.
Ma ugualmente Sergio temeva di poter forzare la volontà di Irene. Fra loro avevano parlato a lungo di tante cose e immaginava, sapeva quanto lei potesse vivere colpevolmente un'azione che andava contro quelle che per tanto tempo erano state le sue convinzioni, e che ancora sentiva valere dentro di lei.
Per quanto svilito da tanti accadimenti, il concetto di matrimonio, e di fedeltà, o almeno di non inganno, era forte in lei.
Però, nella dimensione emotiva che si era creata fra di loro, dove la loro apertura sincera e pura li aveva portati molto lontano da tutto quanto fosse convenzione, in quella dimensione lei si sentiva spontaneamente astratta da tutte le precedenti convenzioni.
Sergio aveva anche radicata in sè una profondissima repulsione per il potere: non era in lui questo un sentimento generico, ma capillare ed analitico. Gli faceva percepire, spesso con grande dolore, l'esistenza estranea del potere, ovunque si presentasse, anche nelle sue forme più lievi ed apparentemente indifferenti.
La sua sensibilità scattava allora come una molla, ogniqualvolta si sentiva sfiorato da un meccanismo di potere. Per questo esitava a dirle quanto grande fosse il suo desiderio che si potessero amare interamente e, per questa sua sindrome del non forzare, quasi attendeva che fosse lei a prendere quest'iniziativa e quando si fosse sentita interamente in quel loro sentimento, oltre ogni inibente convenzione.
Contemporaneamente però, sentiva anche quel suo non voler forzarla, un parallelo forzarla a prendere un'iniziativa che sarebbe stato più nell'ordine delle cose che provenisse da lui stesso.
Si sentiva dentro un vicolo cieco, come se, in qualsiasi modo si fosse comportato, sarebbe comunque incorso in qualcosa di incongruo. Quello che avrebbe veramente desiderato era che la simultaneità del loro sentire, fosse simultaneità di agire. Gli sembrò un miracolo che avvenisse, proprio questo.
Si erano fermati, si guardavano, i loro sguardi pieni di emozione, ma anche di pace e liberi, senza arroganza e senza incertezza, attraverso quegli occhi le loro anime si confondevano e fugavano ogni distanza.
Lui la prese per mano, camminarono vicini, senza smettere di sfiorarsi, verso la camera di lei.
Attraversarono il breve corridoio, che separava la zona giorno dalla notte, illuminato da una luce così soffusa da farlo sembrare quasi buio.
Irene, volle dare uno sguardo a Giovanni, per sincerarsi che dormisse e che non avesse problemi.
Entrarono insieme nella sua camera, si tenevano per mano, Giovanni dormiva tranquillo.
Irene lo osservò un attimo, gli rassettò le coperte, controllò che avesse accanto il campanello, con cui, in caso di bisogno, lui la chiamava. Sergio osservava lei, la contemplava sarebbe stato più giusto dire, ogni suo gesto gli sembrava essenziale, che proprio così doveva essere fatto e nulla di più, ogni altra cosa sarebbe stata superflua e per questo bugiarda.
Non riusciva a resistere all'impulso di trasferire quella sua emozione dentro di lei. Si sentiva completamente trascinato in lei, di poter essere lei. Le era dietro, le toccava e scompigliava i capelli, accarezzava le sue guance, il suo collo e scendeva lungo i suoi fianchi, si stringeva su di lei con tutto il suo corpo, si sentiva invaso del più grande desiderio di lei, di vivere l'amore con lei.
Lei sembrava impassibile, mentre esauriva il suo compito, ma dentro il suo cuore e il suo corpo c'era quello stesso calore e l'identico desiderio di amarsi. Uscirono silenziosamente dalla stanza di Giovanni, senza mai staccarsi un attimo fra loro e si trovarono subito nella camera di Irene. Anche se erano tanti anni che non ci rimetteva piede, era una stanza che Sergio conosceva molto bene e gli bastò rivederla perchè nella memoria gli riaffiorassero mille ricordi.