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Mellifluo è il tàlamo,
ride la vèrgine
che sogna gli àttimi
del bacio pròssimo,
discinta in càndide
sete d’Antiòchïa,
scalza co’ i giòvini
piedi che còrrono.
Le nozze sognano
quel cuore estàtico
che gode e pàlpita
all’Imenèo
che dona a’ i Màrtiri
il Cièl frenètico
nel suo fulgòre
di nuovo Amore.
Il letto è mòrbido
d’un dolce pioppo
reciso in tronco
dal bojä zoppo
che la bipènne
consacra ad Ade,
presso le biade...
consacra all’empio
che dal suo Tempio
tristo rapisce
questa Prosèrpina,
questa selvàtica
donna che a’ Cèsare
non genuflette...
all’idolàtra.
Le mani affèrrano
la scialba mìsera
pel collo pàllido
che non abbrònzano
del Sòl i baci
qual l’abbronzàrono
più volte un giorno,
sempre d’intorno,
quand’ella lìbera
come una ròndine
fresca di pètali
i Desidèri
volgeva agli Àngioli,
a’ Cherubìni,
come i bambini.
Dio la rapì!
La rapì a’ i mìstici
riti mistèrici,
a’ feste orgiàstiche
di Bacco e Vènere,
al canto lùdico
dei pazzi ràpsodi
d’aèdi a Ilìade
alle lòr lìriche
di gioja e Amòr...
la rapì a’ pavidi
templi bugiardi,
ai simulacri
de’ i stolti ídoli...
a’ gioventù.
Ma Iddio desiàva
farla felice,
rènderle gioie,
rènderla sposa
d’un giusto giòvine
cui condivìdere
tutta la Vita.
Ma stava orrìbile
nelle sue tràppole
l’oscuro Sàtana,
il cupo Ángiolo,
bieco Lucìfero
presso l’Impero
rivale al Vero.
Le guancie pòsano
su quèl cuscino
fatto con l’àlbero
del vil Destino.
L’empia bipènne
s’erge alle nùvole,
scintilla d’ira,
folle sospira
per le tre fiàte
su quella gola.
Dio è una fola?...
L’empia bipènne
discende e scìvola,
le carni tàgliansi,
gli ossami spèzzansi,
flutti si còlano
di sangue ácro
profano e sacro.
La giòvin sposa
or non è più.
Dio l’ha baciata,
con il dolore,
le giurò Amore,
la maritò
col bacio osceno
che la troncò
sopra il suo seno,
con il veleno
di Morte atroce.
La mise in Croce
presso il suo Gòlgota,
afflitta e trèmula,
ignuda e pàllida
tra i due cùpidi
ladri, tra’ i mìseri
fùnebri gèmiti
della vergogna.
Pòvera giòvine!
Presso le tènebre
di tombe e ragne
fatte di lagne!
Presso i famèlici
vermi del lòculo,
cangiata in cènere!
Or non è più...
Colpa (è) di Vènere,
de’ i bruti Cèsari,
grìdano gli Àngioli
contra Lucìfero.
Colpa è degli Ìdoli,
d’orgia terrìbile,
del crudo Sècolo,
del Carpe Dièm,
della Materia,
della possanza...
chi incolpa il Cielo
in sua baldanza?
grida sua Ánima
dal Coro mìstico
del suo Mistero...
E noi prostràti
in vêr sua urna
questa notturna
folle malìa
ancòr baciamo
figli de’i Cèsari,
malvagi epìgoni
d’ogni Peccato
che abbiàm lo sprezzo
pel santo mònito,
per i dolori,
Memento mori.
Abbi pietà,
Santa Giuliana,
d’un Sòl che muòr! |
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