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Che giorno è di Primavera! Il meriggio
mi vièn baciato di splendente Sole,
e sulle ripe un primo pìccol fiore
nàscer contemplo.
L’onde cèrule e belle delle nùvole
di grazia còprono i campi e le paglie
’ve l’aratòr princìpia a solcàr fanghi,
e terre e pozze;
e l’occhio mio si posa sopra i ceppi
che il legnaiuòl ha lasciati alla terra
del sventurato bosco, e pioggerella
della rugiada,
e guarda e ammira l’orizzonte in chiare
vesti avvolto, ove i primi stormi vòlano
delle ròndini, e i pètali che nàscono
tra veglia e sonno.
Così passeggio per la mia campagna
che presso il borgo un po’ odo che cinguetta
a festa, onde m’assale gioia, e diletti
sensi, e piacèr,
che il Sentimento avìto atteso evòca
al brillàr svelto dell’Arbogna in piena,
su quelle ripe ove la gonna piega
forse un’Ondina,
o a febbràio che tèrmina leggero
in questo sì apparente vinto inverno
che per ora dimèntica i suoi gerghi
di nebbie e ghiaccio,
o alle lontane montagne innevate
da’ cui valichi giunge una prodezza
di guerra tra i ghiacciài e il Sole il cui vezzo
m’è di Sublime.
E sulle effigi delle vecchie pievi,
che a’ crocìcchi sen stanno a membràr Fede,
la Primavera avverto agli occhi e a’ piedi
della Madonna.
Ma v’è in agguato il gelo di Siberia,
un sì lontàn deserto insanguinato...
le gioie e i dolori d’una Patria esausta
che stenta e muòr! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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