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Avvolto è ancor dagli oìdi di gelida
nebbia il mesto päèse, co' i suoi tetti
colmi di glauchi cieli,
e i freddi aspetti
del campanile che ora io scorgo appena,
donde - mossa dal vento - una campana
odo che urla, e dispera
e va lontana
a' i pié delle cascine diroccate,
de' i giovini ricordi dei vegliardi,
e va a' divinizzate
spiagge. Ombre e bardi
si aggirano tra le nebbie che ammiro,
ululando canzoni di vecchia era,
catturando un sospiro
di Primavera.
E vanno dove un dì v'èran le pale
del perduto mulino e di sua màcina,
e nel gelo fatale
accènnan baci
sul corso della roggia alla mugnaia
fatta fantasma dal sepolcro antico,
e alla campestre ghiaia
di fango aprico,
e a questi Tempi che furono un giorno.
Tutto così mi è vecchio e più remoto,
le cappellette intorno
di ogni "ex voto".
Allor la bruma invade anche la chiusa
dove il suo cascinino non vi è più.
La borghigiana Musa
costui ne fu.
Scorgo in tra nebbie il funebre vïàle
vicino al cimitero. Oh infanzia mia!
Un pensier spicca l'ale
di Pöesia:
qui crescevano un dì i bei prataïoli,
e tra i pioppi e i cipressi e senza pecche
ai primi e caldi Soli
le gambe- secche.
La nebbia delle époche ha sepolto
per sempre i vecchi ricordi del cuore.
Non rimane che un volto
segno al Dolore. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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