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Que’ primi fior azzurri che si schiudono
in questi dì di febbràiö pe’ i dossi
della campagna, e illudono
l’onde dei fossi,
è da piccìn che li sento chiamar
occhi- della- Madonna, tanto sono
delicati e pii, un mar
che apprende il suono
della ventura Primavera bella.
Quante volte io cercai prenderli in mano!
Ma cadde il fulcro della
lor Vita. Invano!
Occhi di bianco- azzurro ciel di gemma!
Li scorgo sempre su’ questi sentieri,
rinascono con flemma,
e son leggeri,
ognòr ne’ i stessi capei di prima erba,
tra i gambi de’i ranuncoli che si alzano,
e più che impazzita cerva
nel vento danzano.
Sembran dassenno occhi di Infinito,
mi somigliano a molti sguardi eterni,
oltre il nembo ingrigito
di questi inverni;
ed essi allora mi guardano attenti,
occhi al mio occhio, ombre ridenti di spene,
nei miei alti sentimenti,
per le mie vene.
Non- ti- scordar- di- me li chiama il volgo,
parola d’aura amorosa e sottile,
e io in questi fiori accolgo
il far di aprile.
Non- ti- scordar- di- me li chiama Amore,
tra i mazzolìn che svolazzano al vento
or gettati da un cuore,
or da tormento.
Ma io ritorno a’ i miei dì passati e quieti,
della mia infanzia, quando era il mulino
a muover flutti lieti
su’ un fiorellino,
quando al crocicchio di vecchia cascina
saltavo su e giù pe’ il pìccol muretto
di un’erma chiesettina
pe’ il mio diletto,
quando ignoravo patimento e duolo,
il bene e il male di codesta terra,
scorgendo gli augèi in volo,
e non fu guerra.
E tu, mia Primavera, che in ricordi
mi conquidi il cuore... che hai? Che v’è?
Se tu mi assordi,
non ti scordar di me! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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