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Canto!
Le brine gelide, e
i scialbi nugoli,
l’aurore roride, e un
grido d’un Unno,
spettro selvatico,
tombe di tenebre,
viene l’autunno;
e il mio cuore non scorge che le foglie
che cadono ingiallite, e sente doglie.
Canto!
Giunge immobile,
inesorabile, un
sepolcro timido
di lìgneo ossame, e...
e si precipita
dal nudo platano,
dal tetro frassino, il
secco fogliame. E
sembra la mia gioventù che s’invola,
dove son cieco, e non so dìr parola.
Canto!
Lungi va l’iride
mia che qui spasima
al canto flebile
della vendemmia,
gelo terribile,
volto di Sìlfide, e
grida interminabili
d’una bestemmia;
ed è forse costui sul mio cammino
quello che ha un nome oscuro, il mio Destino.
Canto!
Fugge l’allòdola,
geme la rondine,
strìllan le nòttole, e...
e i cardellini,
ha fame un pàssero,
i corvi trèmano, e
sui campi gèmono
i beccaccini;
strilla di liuti, di sogni e di canti,
arcana voce dei miei antichi pianti.
Canto!
Odo quest’àliti
di vento indocile,
di piogge e di oïdi,
coprìrsi il giorno, e
le nubi cèrule,
le terre pallide, e
intendo i palpiti
d’un truce corno,
sogno represso nel sangue secreto,
cure d’un folle Poëta irrequieto.
Canto!
Le cacce squillano,
i cani inseguono,
le selve mùtansi
in camposanti,
càdon le tortore,
ferite all’ùgola
dai piombi languidi,
i cuori infranti,
com’è il mio cuore, piangente in eterno,
da un dubbio asperso, conteso dal scherno.
Canto!
Gelano l’àlighe
sull’acque limpide
dei stagni tremuli, e
ghigno autunnale
s’erge al crepuscolo,
con guance orribili,
è il maëstrale, e...
e senso visionario di ponente
dell’occhi mio che sogna ed è demente.
Canto!
Odo: sta in fremiti
la sera giovane
che presto s’agita, e...
e viene bruna, e
più oscura e lugubre -
di streghe i pòllici
che il cielo graffiano -
lungo la Luna,
ossame scialbo, qui ordìto d’argento - che -
sopra il mio volto s’angoscia tra il vento.
Canto!
Notte di funebri,
ombre e fantàsimi,
pianto di ràmore
vecchie e lontane, e
impronte rigide
di Luna candida,
di stelle deboli, e
lanterne vane,
dove è giunta così l’ora del sogno,
l’insonne pianto del qual mi vergogno.
Canto!
Volti trapàssano
d’inquieti valichi,
oltre le formide
cime dei monti, e...
e a Morte suonano
i flutti spastici
delle più tisiche, e
gelate fonti; e...
e mentre giaccio in un grido di lagna, or
m’è più caro il pensàr della montagna,
dov’era estate nel giòvin mio cuore,
un preludio d’autunno e di dolore. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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