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Fuor è la Notte, e la biancheggiante Luna rosseggia al mio cuore, e...
e io giaccio, - e io sogno; - e nell’alito del vento
che odo gridàr, e nel suo tenue ululato, - io – (che farò?) -
resterò tremante. E come or m’è, così mi sarà una cura eterna l’oscuro Fato, e il
mio conturbante senso, e il suo arcano tenebrore. - E...
e tu, Notte, non odi? - Lo sai che: è un mio Sentimento? Eh! - Ma
l’Anima mia così beändo sogna, ed è insonne d’Amore, e...
e questo tempo notturno dove sento le civette - ah! - passa e va lento, - e il
mio restàr nei miei svenuti sogni insensati e l’accordato
mio vecchio liuto, e il mio frinìr che non è che un detto intemerato
fluïscono in un canto che si pasce d’insania e d’irredento dolore, e...
ed è questa una nenia, ed è forse costei il mistero del mio labbro: il mio lamento.
Penso! Ho perduto qualcosa, un’impronta della mia stessa Vita, e...
e l’ammiràr delle foglie che multiformi e variopinte cadono a terra, e
i canti allegri delle vicine e serene e placide vendemmie lungo i monti, e...
e le feste del paëse, e le loro danze e i sorrisi delle fanciulle, e...
e le prime brine dell’autunno cadèr all’alba sopra i salici e sulle betulle, e
il mio più dolce desidèrio, mai noto a nessuno, e mai gridato agli orizzonti,
questo volèr, bramàr, desideràr segreto che al mio Destino muove una guerra, e
che è insana questua d’una gioia che ha e che porta molti nomi e che è infinita; e
questo mio desidèrio è: un ballo mascherato dai sogni rimasti inavverati, e...
e il rosso labbro del rubino d’una guancia di fanciulla arrossata lievemente, e
gli inavvertiti sguardi ricercarsi tra i danzanti trilli d’un quasi muto fortepiano, e
il scialbo collo adornato di trasognato oro, e il piede che muove lontano, e...
e la sua giovinezza femminile, che davanti a me danza soävemente, e
il quieto seno ora ristretto dai veli più sontuosi, e i biondi capelli gemmati; e...
e penso! Penso combattendo i miei dolorosi Fati!
Occasiöni perdute e irrequiete, e che ho sprecato nei sogni del mio cuore, e...
e ora so che non è per me più il tempo propizio per un desidèrio che è Amore.
Eh! Ma mi resta pur nei reconditi ed eterni spettri del mio Spirito deluso - un
incognito e furente senso di vivere e di gioia, che mi chiede molto: e
voglio ancora sapere com’è l’ebbrezza d’un bacio, e il tintinnio che mi ha illuso
di due ansimanti labbri che si incontrano su un unico e misterioso volto, e
il sospiro di quel bacio, di quel bacio che entra nel cuore e lo corrompe di Vita,
e che mi sfugge, alato pensiero d’una immeritevole e spenta chimera, e...
e che sogno continuamente non appena il Sole tramonta e viene la sera, e
la cui mancanza la coscienza mi rende impotente, e l’Anima mi fa smarrita. E
ancora passo questa nuova Notte pensando e sognando; e tutto è un vano ardire,
nemico della speranza, e irremovibile nell’atrio insonne d’un cuor che vuol dormire; e...
e dopo i sognati palpiti, e dopo la sognata e incognita e mai conosciuta fanciulla,
a me Poëta non rimane che un rimorso, e la tenebra che regna. E tutto è Nulla! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«La seguente Poesia non è sperimentale. Ma è un insieme di Sonetti e di Strofe di dodici Versi rivisitati nella forma dei versi ipermetri, riconosciuti dalla tradizione poetica, con il risultato di una Poesia più libera e sentimentale.» |
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