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Tace la rorida
in ciel la Notte
‘ve grida un pianto
di Luna candida
sovra le grotte
d’un fior affranto;
e questo timido
di rosa ‘l fiore
tremante dorme
come che sanguina
un smorto core
tristo e difforme,
ed è ‘l suo petalo
negro rubino,
come la runa
ombreggia ai nugoli
di biancospino
in orma bruna.
Urla la timida
selva de’i lupi,
in sulle pietre
de’i tersi ciottoli
e de’i dirupi
van aspre l’etre.
Quivi ad un frassino
impura e guercia
v’è una civetta
che canta funebre
presso una quercia,
cupa saëtta,
piagne alle lugubri
ossa de’i pruni,
ai cardi freschi,
e ai suoi cadaveri,
e stride ai bruni
sterpi de’i peschi,
a queste viscide
ombre de’i scialbi,
de’i mesti e negri
gigli che dormono,
meli e prunalbi
infausti e allegri;
e questa nottola
strilla all’ossame
d’un miser cervo,
cui ‘l petto è lacero,
d’un tasso infame
un dente è al nervo,
sbraita alle roveri
‘ve corron leste
le lepri ansiose
che a Morte sfuggono,
e alle tempeste
nubi furiose.
Come una tremula
nebbia d’un rivo,
come una bieca
luce di spasimo,
sen giace a un clivo
oscura e cieca -
come le tenebre -
pietra tombale
presso al recinto
fatto di spiriti,
pel maëstrale
al legno avvinto,
come una pallida
viola appassita,
la pieve giace
pinta di ruderi,
sempre smarrita,
senza più pace
‘ve l’erbe crescono,
amare ortiche,
tosco del fieno,
le ragne scendono,
son bianche spiche
d’almo veleno;
e stan le gotiche
statue de’i Santi
come un granito,
come uno scheletro
che sente i canti
dell’Infinito,
e brilla formido
l’ansio rosone
di questa chiesa
colma di spasimi,
maledizione
sacra ed illesa.
Come una candida
ombra di Notte
al cimitero
giace la lapide
tinta di grotte
d’un astro nero.
Dorme la tremula
salma e n’aspetta
la Luna oscura,
la man scheletrica
di giovinetta
suicida e impura.
Al labbro colasi
l’empio veleno,
come un lombrico
che va famelico
al spento seno,
al mento antico,
come una lagrima
d’una pupilla
che vive e sogna
nel freddo tumulo
che in marmo brilla
e di vergogna.
Sugge l’acconito -
e in sempiterno -
un labbro morto
che asseta l’ugola
di bieco Inferno,
di Ciel risorto,
come la sterile
fossa profonda
che accoglie l’ossa
di questa misera
giovine e bionda -
iride rossa -
sazia le faüci
di suo cianuro -
ginepro insano -
al quieto scheletro
l’avel oscuro
che prega invano,
come d’un talamo
Verbo d’Amore
la ricca seta,
siccome un vergine
fior di dolore
che non ha pièta,
‘ve un dì salirono
baci maliardi,
giuri di sangue
traditi ai bàratri
di questi cardi,
d’un suol che langue.
Dorme la povera,
la carne scioglie,
un verme ‘l cangia
in bianco cenere
che urlando in doglie
se istesso mangia.
La Notte orribile
tal sonno culla,
eterno regno
d’un bel fantasima,
d’una fanciulla
morta di sdegno,
e come un serico
aspro sudario,
come una rosa
che muor nel fèretro
del reliquario
e in terra ascosa,
come la ignobile
polvere molle
del sen defunto -
letto terribile -
copron le zolle
volto consunto;
e ‘l ciel necrofilo
mira la bara,
il suol penètra
come un desìdero
alla sua chiara
fronte di cetra,
come l’indocile
Morte che esulta
or la ghermisce
come una morbida
carezza occulta
che mai finisce.
Quest’è la tenebra,
la Notte immensa
‘ve al cimitero
posa la pùdica
che spenta pensa
a un cavaliero,
‘ve crude scorrono
nella foresta
l’ombre rapaci
de’i lupi e d’aquile,
Sorte funesta,
d’artigli i baci,
‘ve muor al cenere -
d’un astro - ‘l fiore,
la bianca viola
che in codest’incubo
l’ansioso core
più non consòla,
come un crepuscolo
in sulla Vita
della Natura
che lenta naufraga
ai Ciel smarrita,
orba radura,
come un immobile
aspro dilemma
tra l’Odio e Amor,
tra ‘l Cielo e ‘l Dèmone,
ed è una gemma
sol di dolor! |
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