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Ave, oh Vergine, oh tu che soffri e peni,
addolorata Madre, oh donna in pianto!
Or lasso è ‘l frutto de’ tuoi casti seni,
Gesù! L’han spoglio, e umiliato cotanto,
e i flagelli e le spine, e insulti e sputi
gli dieder gli empi e un regal, fulvo manto;
e Lui che Santo pregò pe’i perduti
adducon tristi all’estrema Natura,
ove i cener avìti posan muti.
Ma tu che ‘l miri ne senti sventura,
e duolo, e pena; e giaci e mesta e ansiosa
‘ve si compie ‘l voler della Scrittura.
Tu, Madre e Santa, Tu, o nobile sposa,
inginocchiata a’ Cieli n’alzi i palmi,
e l’ombra tua ne divien sanguinosa,
ché della Croce stai a’ rei legni ed almi -
di cui va l’ombreggiar a Te che gemi -
e lassa canti i dolorosi salmi.
Muor la tua carne, e or in tra’ gli anatemi
il tuo Figliuolo lagna detti arcani,
ché l’Uom non più in tra’i spasmi n’ha le spemi.
Ei sclama: «Elì, lemà... Elì, sabactàni? »
e te mirando, or sconsolato muore
in tra’ color che detti suoi fûr vani.
Tu, o dolce Donna, Tu, o perno d’Amore,
mesta volgi - ed altrove - l’alma uccisa,
e ne senti una spada in mezzo al core,
e dianzi a Lui che Iddio s’imparadisa,
disperata n’abbracci Maddalena,
e ‘l pio Giovàn; miri la Croce intrisa.
Scorgi dal legno colar la sua vena,
‘ve l’uom improbo n’ha la Redenzione;
e in ciel la nube non fia più serena.
Senti che piagne Siòn la distruzione,
e tremi in lagne al formido tremuoto;
e muore ‘l figlio della Perdizione.
Ma giaci in duol, e affranta sei, e l’immoto
tuo figliuolo ne miri, e dolorosa
lamenti indarno a un vano e lasso voto;
e la tua guancia bianca è lagrimosa,
solcata e aperta dall’ombra d’un Uomo
che giace morto, e al volto spin di rosa.
Gridi, percuoti ‘l suolo e ‘l negro atòmo
d’un veglio cranio - onde ne vien Calvario -
e in sulle vesti scorgi ‘l dado domo.
Han gittato la Sorte in su’ un sudario,
e Tu n’inorridisci, ed urli, e lagni,
e del tuo Figlio è questo ‘l reliquario.
Lagrimi sempre, e ancora ansiosa bagni
de’ tuoi singhiozzi questo calle osceno
e di Colui gli Apostoli e i compagni.
È questa Croce per Te un sol veleno,
e caro T’è quest’immolato Agnello
poiché n’uscì dal ventre tuo e dal seno,
e ‘l sangue suo - di cui ‘l chiodo è suggello -
or s’immischia - e crudel! - alle tue bave,
e riso e ischerno di Te n’ha ‘l rubello;
e queste schiere vil di genti schiave
stanno a beffar questo dolor materno,
oppur ne vanno e sono e cupe e ignave.
Ma questo volto tuo e ligio e superno,
questo dolor che ti strugge in sul core,
fia lor cagion di pentimenti e Inferno
ché da Te, o Madre, che gemi ‘l Signore
n’avran costor giudizio e tremeranno
or che non san di Pace e né d’Amore.
Ave, oh Dolente che vai a un alto scranno
e che col pianto dai nostra Salute,
ove i Chèrubi e i Santi in Ciel sen vanno;
nostra Tu se’ Madre santa e virtute
cui n’asciughiam un pianto di dolor
con nostre laudi, e preci e lingue acute!
Ave, Maria... oh Regina dell’Amor!
Ave! Ave! Ave!
Quandus Corpus morietur
fac ut animae donetur
Paradisi Gloria!
Amen |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«I versi finali in Latino sono tratti dallo Stabat Mater» |
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