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Corte! Ascolta e ti giovi questo canto
ch’io mòvo inquieto in tra’i viandanti scaldi,
quando ‘l mio cor affranto
fu d’ansi ardor ribaldi,
e a voi fanciulle insegni e a voi guerrieri
l’almo Amore di questi van poëti!
Udite, dunque, oh fieri
questi miei versi inquieti!
Fûr le tenebre e in ciel splendea la Luna,
soffice volto d’argento e d’avorio,
la cieca Notte e bruna
sperdea lo stral suo ustorio;
e io n’andava alla selva, e fui mendìco
e ai pioppi e agli olmi io chiedea forse albergo,
e in questo bosco aprìco
la spada io avea, e l’usbergo.
Scorgea gli spettri, e le Norne e gli Gnomi,
e volar i rapaci udì e lor lagne,
freddi e feroci atòmi
pell’ansie e rie campagne.
Ma un’ombra bella s’appressava e bianca
come lo stel d’un prunalbo appassito,
dolce di viso e d’anca,
snella e di molle dito;
ed era ansiosa, una giovin fanciulla,
sacerdotessa delle fronde sacre,
e in sotto a ria betulla
andò in tra’ incenso alacre.
Bionda apparvemi al cor, e lieta e d’ambra
l’eran le trecce, e i riccioli di sirti,
e d’una pia e sicambra
quercia avea i fior, e i mirti.
Dolce andava alla selva, e santa al vischio
a un mesto salce ‘l guardo suo volgeva,
e accarezzava ‘l fischio
del vento che gemeva;
e in man tenea uno stral di gelsomino,
e un gelso fresco, e un fiore di betulla,
e a me colò ‘l rubino
sangue per lei fanciulla.
Quieto l’era ‘l sorriso, e molle ‘l mento,
e azzurro ‘l ciglio come ‘l vespro aprìco,
e un senso e un turbamento
al cor mi venne antico;
e alle sue gote sfiorar sognai i baci,
e alle labbra melliflue, e a sua sì pura
fronte, e in su’in ciel le faci
brillâr, e la Natura.
Come una brezza, e come antelucana
Notte, e più come una serena aurora,
come fatal, lontana
rosa porporea e mora,
come ‘l latte d’un fior che cola inchiostro,
come lo stame d’un giglio fiorito,
come d’un falco ‘l rostro
argenteo, e fiero e ardito,
e come l’occhio roseo d’un bel pesco
m’apparve bianca e in cera la sua pelle,
il volto l’era fresco,
e le sue chiome belle.
Ma perduto non dissi nulla, e tacqui,
ed ella andava sacra a ignoto tempio,
e in questa selva giacqui
urlando muto a un scempio;
ed ella ‘l vischio nascosta raccolse
cantando ai Numi coll’arpa de’i bardi,
e ai salci antichi volse
gli occhi suoi azzurri, e ai cardi.
Era dolce e fatal, e questo volto
m’andava in petto a ridestar l’Amore,
e al suo capello folto
lunar splendea un madore,
e m’apparve gentil, donna silvana,
come una viola, o una Silfide, e al seno
posai la brama insana
d’un solo bacio almeno;
ed ella dolce cantava a Freïja,
e a Wodàn che gridava in ciel, e irato
s’udì ferin da baïa
l’urlo d’un prode armato,
ed ella ancora n’intrecciava ai polsi
due ramoscel di vischi qua’i bracciali,
ed io a costei rivolsi
desiri invan nuziali.
Crudo Fato e ferin! Costei disparve,
come le nebbie del nordico mare,
come uno stuol di larve,
atroci e fredde e chiare,
come una man di brume in tra’ le fronde
che sen corre lontan pe’ suoi sentieri,
e sparvero le bionde
chiome, e i giojelli altèri;
ed io restai a maledir questa sorte,
e in questo bosco mai più - ahimè! - la vidi,
solo la Notte e Morte,
solo i solinghi lidi.
A voi ‘l mio canto insegni in tal godere
del pio banchetto, e fitto in vostri cor,
che d’Amor è tacere
sempre un crudel dolor!
Membrate, oh prodi, di me trovator
quest’ansi versi, e d’un sogno che muor! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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