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È Notte, e ‘l lugubre ombreggiar di Luna
in tra le nubi si specchia e in sull’onde,
e ‘l mar si scalpita, e l’orba laguna
è tinta in ciel di folgori iraconde,
e un tòno grida, e infuria un nembo, ed una
mesta saëtta or le vette profonde
uccide e abbaglia, e un’albugine bruna -
tra’i lampeggiar - pe’i nuvoli s’effonde,
e la Tempesta vien, e all’orizzonte
s’alzano in tremiti i sali spumosi,
e d’acque va - e irremovibile - un monte,
e i tristi venti ne son burrascosi,
e vêr un’isola ancor stilla un fonte
di lampi e grida, e di sangue e marosi.
Istanti tempestosi!
Sen geme ‘l nembo che pria fu lontano,
s’adira e s’apre in varco l’Ocëàno.
Sen va spettrale in tra’i tòni un vascello,
le vele lacere e ‘l legno ammuffito,
e d’una rotta insegue un passo ardito,
funereo e negro, e maliardo e rubello.
In tra le folgori e i cieli in furore -
fattosi spettro - v’è un teschio corsaro,
e quest’è un bieco vessil che l’onore
d’un prode annunzia estinto a un fioco faro;
e l’osse al cranio - qual cupo arboscello -
empie germogliano ‘l fior della Morte,
e l’aspre sartie n’ombreggian l’avello
d’un sciagurato ch’è stretto in ritorte.
Sen va spettrale in tra’i tòni un vascello,
le vele lacere e ‘l legno ammuffito,
e s’alza un canto e dolce e intenerito
d’un cor di donna sconsolato e bello.
D’Amore è un pio suggello,
di miser dama da un crudo rapita,
in braccio a Morte per sempre smarrita!
Ulula ‘l vento e un maroso lampeggia,
e piove ghiaccio in terra e in sul cotone,
e ‘l negro schiavo supin si dileggia
coll’ansia e mesta e infausta sua canzone,
e l’habanera d’un lampo gareggia
co’i bianchi fior d’un’aspra piantagione,
e ‘l tòn orribile in sull’acque ondeggia,
e in cielo iscoppia una truce tenzone,
e più s’agitano i lenti fondali,
e pur de’i lidi maggior s’alza ‘l flutto,
e piangon l’àlighe, e i germi e gli squali
e l’onda è fatta un brivido di lutto,
e tetri gridano i ner maëstrali,
e ‘l cesio vetro del mare è distrutto;
e delle piogge ‘l frutto
scende furioso e l’imo fiotto ‘l beve,
ed è un oscuro cenere di neve.
In tra gli spettri geme una fanciulla,
è incatenata a un chiavistel spettrale,
e piagne ai vivi, e al suolo suo natale,
e de’i fantasmi d’intorno n’ha ‘l Nulla.
È bionda e giovine, e prona si geme,
e ‘l guardo è colmo d’orrore e di pianto,
e ai Cieli prega, e senza più una speme
alla Tempesta ne dona un pio canto,
e all’aspro ponte ‘l core le s’annulla,
e l’empia grandine ‘l ciglio le scuote,
e sotto ai vel laceri e rozzi e in sulla
pozza che piove, le membra n’ha immote.
In tra gli spettri geme una fanciulla,
è incatenata a un chiavistel spettrale,
e sol la Furia dell’onda fatale
e ‘l volto e ‘l sogno in brividi le culla;
e un tamburino rulla:
è giunto ‘l tempo che s’imparadisi
alfin costei che più non ha sorrisi!
Or d’in sul mar sen corron gli elementi,
e stille son di vento e di bufera,
e ai negri scogli che giaccion sgomenti
versano l’onde e in sopra la scogliera,
e allor tramontano i bei firmamenti,
e l’alba Luna svanisce, e la sera
è un folgorar di piogge e di tormenti,
e l’orizzonte n’è pallida cera,
e fredda l’acqua del mar non si placa,
e bolle e s’alza, e schiuma e piagne, e irride
pur la Tempesta crudele ed opaca,
e un quieto lido burrascosa uccide,
e un bel palmizio con essa si baca,
e a’ solitari sepolcri sorride;
e tempestosa stride,
e l’eco espande l’infame ululato,
croce d’un cielo che va indemoniato!
Canta la misera ai spettri funesti,
e al rapitor crudel e maledetto,
e delle piogge in tra’l tremulo getto
il guardo volge agli orizzonti mesti.
Trema e singhiozza e ‘l vascel maledice,
e sa ch’è prossima a un folle trapasso,
e sogna i baci d’una sua nutrice
e della madre, ed è preda del lasso;
e i ner marosi sen mòvono lesti,
e ‘l brigantino tra l’onde saltella,
e va e s’inciela or pria che s’appresti
la truce fin della pioggia rubella.
Canta la misera ai spettri funesti,
e al rapitor crudel e maledetto
e muor alfine, e lungi dal diletto
smorti e pallenti sen giaccion suoi resti;
e bianche son le vesti
e sozze e roride e d’acque e di vento,
di sangue un segno in sul sen d’un tormento.
Riddano l’onde e sommergon gli scogli,
e pien di grandini è un’ombra d’Antille,
e in ciel da’i nugoli - or sempre più spogli -
tra gli empi tòni che son più di mille
scendono i ghiacci, e prima che li sciogli
l’acqua irrequieta divengono stille,
e son malvagi e dannati germogli
di lampi osceni che irroran faville,
e nella possa si strugge ‘l corallo,
e l’erme rade si vestono d’onde,
e un’orba folgore è par a un cristallo
che va a iscoppiar in sulle spiagge bionde,
e ‘l mar del fulmine aggrada ‘l reo ballo,
danze e carole in sul ciel tremebonde.
Le Notti son profonde;
e non si mira null’altro che ‘l flutto
che s’erge infame a seminare ‘l lutto.
Salta tra l’acque ‘l vascello incantato,
negro di legno e smorto di polena,
e un urlo s’ode e un nembo rasserena,
ciurma d’un uomo in eterno dannato.
Sopra le vele le folgori vanno,
fulminan gli alberi e gridano in schiera,
e ‘l ponte riempie la pioggia d’affanno,
e un foco appicca, e va alla polveriera;
e ardon la stiva, e le sartie e ‘l dorato
mesto timone, e l’orribile prora,
e ‘l brigantin n’è poscia funestato
da un cupo vortice, e insan lo divora.
Salta tra l’acque ‘l vascello incantato,
negro di legno e smorto di polena,
e segno è e pieno e di duolo e di pena,
e muor tra l’onde, consunto e bruciato.
Funesto n’ebbe ‘l Fato;
ed or sen torna al baratro infernale.
Maledizione!... La Morte l’assale!
Lento si placa ‘l meschin temporale,
e l’onda ansiosa in sul mar s’addormenta,
e in tra le nuvole un stral celestiale
di nuova Luna in tra’i lampi s’attenta,
e tosto ‘l debil vascello spettrale -
fattosi vento - svanisce, e sgomenta
n’è l’aura inquieta, e un son di funerale
pell’aër fosco ferin si tormenta,
e dolce e pia sen va la pioggerella,
e stanchi e inquieti lampeggiano i lidi,
e in ciel appare fors’anche una stella
che ai freddi sogni de’i morti son nidi,
ed è svanita al vento la donzella
ch’è morta vergine in cor degl’infìdi.
Lampeggian negri gridi,
e si tramonta in un bieco tormento
d’una fanciulla ‘l feral rapimento;
e la Tempesta muore, e ‘l sentimento
dell’alta Luna novel si rinnova,
e quiete v’è poscia ‘l reo patimento,
e l’ansio stel si terge del cotone,
e l’aura mite de’i ciel si ritrova,
dolce habanera di bella passione!...
E ‘l mar s’acquieta, e la pioggia svanisce,
e in sul lontano orizzonte si tòna,
e un grido - l’ultimo! - ‘l Cielo ferisce,
voce di donna, e ‘l Signor le perdona;
e l’onda un requiem sona:
«Riposa in Pace, oh Tempesta fantasma!»
ed un donnesco ombreggiare si spasma.
L’aura che fu predona
piagne a una tomba, al fondale dell’acque
laddove un dì la misera si giacque;
e un nembo s’appassiona
d’una Tempesta grondante dolore,
pegno spettral d’una Notte d’Amore! |
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