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Stan le dune e bionde e inermi,
son degli ermi
gli aurei cardi e i fior d’avorio,
una fonte s’erge ascosa -
spoglia e afosa -
sotto un stral di Sole ustorio,
e le rose de’i deserti
son incerti
occhi ansiosi fatti in pietre,
e di balsamo una palma
terge l’alma
delle calde e uggiose ètre,
ed un dattero matura,
è Natura
una vedova in tormento:
l’orizzonte, infatti, è nero,
soffia altèro
e funereo un orbo vento;
e ‘l palmizio giace affranto,
veste un manto
dello spettro d’un cammello,
ansio aspetta in su una duna
l’alba Luna,
e dell’Ecate un ruscello,
e ‘l singhiozzo dell’arena
rasserena
l’orme tetre delle serpi,
piove sabbia d’una spiaggia
che n’assaggia
l’osse e i ruderi e gli sterpi.
Fior di seta stan le tende
che sorprende
la Tempesta sovrumana,
e meschin un beduïno
al Divino
offre un’alta prece arcana,
e ai suoi piedi n’ha un tappeto -
fulvo e lieto -
dianzi a lui la scimitarra
posa a un tavolo di pelle
e di belle
pugne antiche trista narra,
e v’è un vaso d’almi unguenti -
spezie ardenti -
e un profumo s’alza al cielo,
or d’un’àliga è l’aroma,
e la chioma
del guerriero porta un velo.
Oltre ‘l mar di queste dune
v’han lagune
di paludi e di palagi,
son le vie di sicomòro,
guglie d’oro,
del Sultano sono gli agi,
e a un porton i Mamelucchi -
co’i trabucchi -
stan furiosi e vanno in guerra,
lagne son di dromedari,
e di spari
or riecheggia l’erma terra,
e un Califfo in su’ un verone
con passione
mira in gaudio ‘l truce Impero,
e la Notte non lo sdegna,
e s’impregna
l’orizzonte di Mistero;
e un castel mostra un giardino -
bel gradino
di geranio e di ninfea -
e lontan i minareti -
saggi preti -
stan possenti di Moschea...
e vi son lavande e peschi,
arabeschi
di corolle e fior d’Oriente,
v’è un ciliegio in sul cortile -
roseo aprile -
sotto un nembo ch’è cocènte,
e ‘l serraglio sta... e l’haremme -
d’ôr le gemme -
ove va la baiädera,
l’odalische sono ignude,
e le illude
quest’ardor di Primavera,
e le cetre meste e pure -
pien di cure -
sempre gemono d’Amore,
e le miser cortigiane
spemi vane
cantan tremule dal core:
sono visi e tetri e allegri -
rosei e negri -
le lor ciglia spremon pianto,
tra gl’incensi danzan duoli -
spenti Soli! -
e nostalgico è ‘l lor canto,
e i bei tocchi all’arpe ansiose -
fulve rose -
contan gli aspri baci ai seni
che lor dona ‘l Sultano -
Solimano -
empi e viscidi veleni.
Quest’è l’oro, è Samarcanda -
erma landa -
della Luna è un folle stral;
quest’è Arabia incauta e fiera,
vien la sera,
van è ‘l core del Moghul...
e una lampada s’accende -
l’olio attende -
presso un talamo è una sala,
v’è una dama, e mesta beve
l’empia neve
d’un velen, tremenda fiala;
e la Luna brilla impura,
e s’oscura,
su’ un cadavere si sazia...
e la donna inquieta muore,
per Amore,
l’ermo spegne tanta grazia,
e la Notte è cupa in Morte -
bruta Sorte -
pur la stella piagne a un cor,
e d’arena n’è ‘l suo pianto,
fu un incanto,
l’ermo è colmo di Dolor. |
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