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Ai piè d’un stagno l’autunnal fogliame
si ghiaccia, e placido e morente dorme,
e la ninfea che di nevi n’ha fame
ghiacciata stringe gli stel, le sue forme,
e ‘l pioppo spoglio al ciel - tramonto in rame -
e l’orno ansioso e le silvestri torme
al verno piangono, e sembran le dame
quando de’i drudi ne inseguono l’orme;
e ‘l muschio niveo si pinge di cera,
e le cortecce son rigide pietre,
e nell’istante in cui viene la sera
le fronde ignude si veston di tetre
stelle che in ciel si risplendono scialbe,
scendon da lor le nevi che son albe.
L’onde gelate e l’immensità spoglia
son tra le ripe strette, e ai piè d’un faggio
l’orbo lichene d’un fungo gorgoglia,
e v’è una belva che assaggia un foraggio,
e l’aër pallido e mesto a una foglia
accenna un passo di danza, e in su’ un raggio
di debil Sol un petalo germoglia
d’un’ansia rosa reduce da maggio;
e delle rane - in sul ghiaccio - le cune
vanno co’i pattini a graffiar le nevi,
e dalle tane risplendon le Lune
d’un stagno in sonno che ignora i sollievi,
e piagne gelido un occhio di Dea:
la rosea estinta e perduta ninfea.
Un ponticel ch’è fatto d’oscur legno
tremulo s’alza e vola all’Infinito -
grigio pur esso - e l’invernale regno
di chi tien sonno ‘l core fa assopito,
e l’orizzonte di nebbie par pregno,
e l’acqua fredda e un ruscello smarrito
di brine copronsi - e poscia di sdegno -
dappresso ‘l verno che ‘l Fato n’ha ordito.
Quest’è un’immagine e ria di più stagni
ch’io in remigar un dì scorgevo quando
andai ad un bosco che Ghina la lagni -
oh mio villaggio! - ed in costui mirando
i ghiacci, io piansi a una gelida Ondina
che non v’è forse, e che ‘l Ciel mi destina. |
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