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Fors’è ‘l meriggio, o fors’anche è la sera,
e i nembi pallidi giacciono, e mesti
i ciel si pingono di grigia cera,
e sempre sono più cupi e funesti.
La neve cade, e scioglie una preghiera
al Fato orribile, e i ghiacci van lesti
a empir d’affanni la cerulea schiera
della campagna spogliata di vesti.
Le rogge ghiacciano, e tremano i pioppi,
l’inquieta brina i sentieri inargenta,
e l’aspra neve contende agli zoppi
rostri de’i corvi l’inquieta tormenta,
e scende e grida, e cavalca a galoppi
questa campagna che giace sgomenta;
e fredda ammira e attenta
le selve e i colli d’argento trapunti,
e irride gli ansi germogli defunti.
Oh nivei ponti! Oh sentier disadorni!
Oh rogge tremule! Oh lastre di ghiaccio!
Oh spoglie querce! Oh ignudi tigli ed orni!
Oh spoglio frassino dov’io mi giaccio!
Gemo per voi, e sento da lunge i corni
de’i cacciator che vanno ov’io non caccio;
e più ancor nivea, o campagna, ritorni,
e ad ammirarti irrequieto mi piaccio;
e veggo ansioso e l’innevate motte,
e i freddi fiocchi di neve, e le fonti
ghiacciate e meste, e le gelide grotte,
ed imponenti e lontani i bei monti,
e in ciel discopro un’occhiata di Notte,
e del vil verno i terribili affronti...
ed io ne fò racconti,
e sogno starmi per steppa affannosa,
ghiaccio a un ruscel, un scheletro di rosa.
Allor men vado pell’ignoto, e ad Elska -
la mia fanciulla dalle nevi ordita -
canto, e le guance più chiar d’una pesca
le sogno, e lor m’han stregato la Vita;
e all’orizzonte immenso la donnesca
forma mi pingo, e l’inquieta e sopita
Natura scorgo, e la contrada fresca
forse una spene tuttor m’ha rapita...
e ‘l sacro detto d’un Vate m’assale,
e a lei declamo: «Akh! Ya tebya lyubil! »,
e ‘l suo bel labbro n’ascolta e fatale,
ma niveo ignora codesto mio assìl;
per questo io son mesto e miser mortale,
la caccia emana un infernale squil,
ed io non ho un asìl,
e morrò presto trafitto nel core,
fuori sta ‘l verno, e in me sta indarno Amore.
Oh prati avvolti in fiorellin di nevi!
Oh bei germogli d’argento ghiacciato!
Oh muschi! Oh vetri di tremule pievi!
Oh pio lichene di gelo gemmato!
Quant’io v’ammiro, e privo di sollievi
vò all’Infinito d’un ciel sconsolato;
e tu, fanciulla, da un calice bevi
lui ch’è ‘l medesimo e pover mio Fato...
E, infatti, stai al passo mio indefinito,
ed invisibile pe’i nembi foschi
segui ‘l mio errar che si giace smarrito,
e suggi meco del verno i rei toschi;
ma tu non m’ami, e con te l’Infinito
m’odia, e m’assalgono perfin i boschi.
Sovvienmi di Tschaikowsky,
delle sue liriche, e de’i suoi balletti,
un niveo lago di cigni, oh diletti!
Canta la steppa del ghiaccio perenne
le fredde lagrime e ‘l tintinnio osceno,
e l’eco spasima dell’ansie renne
l’urlo feroce e ‘l remigar sereno,
e allor rimembro d’un fior che si svenne
quando beveva d’Amor un veleno:
d’un mesto plico l’inchiostro e le penne
che si lagnavan vicin al tuo seno;
e mi ricordo del lieto Glazùnov,
e pur di Glinka e dei lor pianoforti,
e i canti e i balli del truce Godùnov,
e più che Musica l’eccelse Sorti
d’un Genio prode, l’estinto Kutùzov,
che agl’invasori segnava le Morti...
e fûr di te men forti;
se tu m’amassi, sarei pur un Ròmanov,
danzerei teco ‘l sì selvaggio Kòrsakov.
Ma quest’è sogno, e la campagna bella
s’empie di stelle di ghiaccio immortale,
e io seggo immobile sur d’una sella
del reo destrier d’un cosacco ferale,
e ‘l nembo piove di neve una stella
cadente ai termini del suol glaciale,
ed ai miei piedi una trista rosella
ghiaccia e per sempre è morente e fatale;
e questa roggia ch’io veggo e che sento
parmi una sponda - crudel Beresina -
ed or si copre di nevi e di vento,
e sembra formida, e fredda e meschina...
ed io mirandola n’odo un tormento,
e pelle vene mi scorre la brina.
Se’ tu, lei che destina
questo mio core a questo freddo asìl...
Elska, oh mia Elska, akh! Ya tebya lyubil! |
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