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Sotto i bei portici, sotto le tegole
scroscianti d’acque del nuvolo in doglia,
tra le pozzanghere, misera spoglia
dell’aspra folgore, tra’ i tersi fior,
e all’aure apriche, e ai gelidi turbini,
e all’invisibile bacio de’i zefiri,
e in sull’orror che spargevano i fulmini
e i tòni rossi di collera e cruor,
stava una giovine dama, e piangeva...
giaceva immobile contro un pilastro,
e l’occhio in lagrime n’andava a un astro
d’un giovinetto lontano da lei;
ed anche questi di pianto spremevasi
e camminava immoto e depresso,
e ad ogni passo soffrente volgevasi
alla fanciulla che amava... E costei
mesta ‘l scorgeva col guardo rapito
e colmo d’estasi e pieno di duolo,
e la sua lagrima spiccava ‘l volo
ai nembi bruti, e andavane a lui;
e in sen dolevasi, e tanto l’amava...
ma poiché timidi sempre si tacquero
i lor due labbri allor che gridava
l’Amor sincero da’i nugoli bui,
giunse lo spasimo crudo e beffardo,
e ‘l lor tacere negava i lor cori,
sembrava uccidere i giuri e gli ardori
e poi pingevasi d’orbo Destin.
Giammai si dissero - giammai! - d’amarsi,
ed or fuggivano questo lor spettro
nero com’ombre del Sole e de’i sparsi
strali eclissati in sul vasto confin,
come orizzonte di pallida Luna
che in pien meriggio d’oscuro coprivasi;
e come angelico ciel d’una bruna
sera, alla Notte per sempre n’andâr.
Eppur a un tratto la dama rivolse
il guardo esanime al giovine amato,
ed ei, voltandosi, lo vide e grato
con sue pupille allor il mescolò,
e i femminin e i suoi virili pianti,
come rugiade che a un fior s’incontravano,
gaudi volando tra lor s’abbracciavano,
ed ai due giovini un riso spuntò;
e in ciel tra’i lampi, di ghiaccio tormento,
l’iride etesia formavasi lenta,
e le sue sette cere ed in sul vento
piovevan Chèrubi pinti di blu,
e i crudi soffi dell’aure in scompiglio
dolci sonavano un’aspra canzone,
e l’alte folgori, strette in tenzone,
lente placavansi in cielo, lassù.
Come uno speglio che indaga ‘l mistero
si riflettevano de’i due le lagrime,
e questi gemiti erano un siero,
un mongibello d’ardore e pietà...
e dilettavansi all’alveo de’i fulmini
e sotto i tòn che pregavano Imene,
e queste gocce di pianto le pene
scordar ben parvero, pia novità.
Allor il giovine corse alla donna,
ella andavane docile incontro,
ed ei baciandole un lembo di gonna
a lei ‘l suo core felice scoprì,
e l’abbracciava dicendole: «T’amo»,
ed ella al collo gli strinse le braccia
e a una sua spalla posava la faccia,
e la sua lagrima allor si lenì...
e le sue mani ridenti s’aprirono
mentre l’amato cingevale ‘l fianco,
e al maschio crine tai man si lenirono
in pie carezze... e detti d’Amor;
ed ei baciavale le bionde trecce,
e ‘l collo e l’ugola, ed alle ditelle
poi la cingeva, e l’alba sua pelle
solleticava co’i baci d’ardor...
Ed ella alzava ‘l serafico volto,
ed ei la prese la morbida nuca,
ed ella misegli ‘l pugno disciolto
d’ogni sua mano in su’i maschi guancial.
A lungo stettero in questa posa
come le plastiche statue de’i Greci,
si sussurravano i giuri e le preci
d’un casto Amore dall’ale immortal;
e si perdevano tra loro gli occhi,
azzur di donna nel maschio castano,
e si mimavano ai labbri de’i tocchi
delle lor carni e de’i loro cor,
e mentre in cielo i nembi placavansi,
e in sul ritorno del Sole brillante,
e tra’i bei son d’un violino ambulante
si diedêr baci... Oh Trionfo d’Amor! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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