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Dall’alto e inquieto pòggiolo,
presso l’altera piazza,
stretto tra l’aspra edera
sull’intarsiata tazza,
geme e si lagna candido
di giglio un mesto fior;
stringe soffrente i petali
tersi di pioggia etesia,
leva alle nubi un palpito
della sua vena cesia
e mesti e fier contorconsi
i suoi pistilli d’ôr.
Piagne l’oscuro cenere
dell’immolata donna,
gocce di sangue funebre
d’un’infocata gonna,
sotto l’oppresso bòcciolo
la linfa a pianger va;
e la corvina e torbida
fredda rugiada e ignuda
ossi stridenti gocciola
dall’aspra brezza cruda,
geme sul rogo eccentrico
che fiamme più non ha...
e questo giglio immobile
sotto una santa effigie
grida, e commòve i nuvoli,
nubi sì orbate e grigie,
e una membranza pingesi
di lei che appen spirò.
Urla in sul corpo in polvere
d’una fanciulla uccisa,
strilla alla Chiesa ai vescovi
sbraita alla pira invisa,
e col suo urlar dissimula
la croce che bruciò;
e foco e tedi sanguina,
odia ‘l martir che vide,
prega alla Santa e lagrima
sulle sue bave infide,
e grida al rege apostata:
«Giovanna non v’è più!»...
e in sul vessil britannico
spreme veleni osceni,
s’alza in sul vento orribile
che invola gli arsi seni,
e ‘l cor rimasto integro
scorge di lei che fu.
La udì strillare supplice
tra’i fochi che s’alzavano:
pregava ‘l Cristo e i Martiri
e i legni la bruciavano,
avvinta a un piolo e stretta
tra’i fumi e i duol soffrì;
consunto ‘l ventre e l’inguine,
arse le gambe e i piedi,
chiudeva ‘l ciglio esanime,
spirava in sulle tedi,
chinò ‘l pio volto agli Angioli
tremante, e poi morì...
e l’aspra e cruda ed ultima
vampa la sciolse in cenere,
e i nervi ancora urlavano
senza più carni tènere,
e l’Anima volava
lungo le Sfere e i Ciel.
Per questo ‘l giglio affliggesi
d’un traditor monarca,
tinto di sangue è candido,
ma d’onte pur si carca,
e piange gli aspri crimini
d’un infocato avel.
Mesto sen giace e pallido,
veste di polve umana,
sente ‘l gioïr del popolo
vinto da gran mattana,
sente in sul cor le forbici,
un taglio... e poi ‘l dolor;
e un uom lo innalza ai nuvoli,
reciso in sullo stame,
il verde sangue gocciola
d’in sulle orrende lame...
e ‘l fior si sogna un prossimo,
venturo e reo furor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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