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Scrivo, e in mio cor la polvere
d’un ermo s’alza e duole
mista col sangue esanime,
orba di stelle, e suole
cogliere i biondi granuli
d’un’Iri pinta d’ôr;
e la Tempesta - insolita
Furia de’i ciel - s’aggira
come un’impronta d’Ecate
sull’alba colma d’ira,
gemo e n’ascolto i fulmini...
ne sogno i cardi e i fior.
Urla di Vita piovono,
tònan di Morte l’acque,
e sento ‘l vento... è un pargolo
che iër soltanto nacque,
geme e lo culla l’etere
che lento si disfà.
Come coton di grandine
il pioppo invola i semi,
e questi son batuffoli
ricchi di grazie e spemi,
par che di maggio nevichi...
e solo ‘l cor lo sa.
Dal finestrello logoro
scorgo piegarsi i rami,
verdi capel d’un platano,
e i tersi e rosei stami,
e l’egre strigi cantano
sul fil d’un pio violin;
e rossi i nembi imbiancano
le mie aspre vene e cupe,
e i lampi, nervi isterici,
son bàratri di rupe,
ne cado e più non trovasi
altro che un reo Destin.
M’accoglie un negro fèretro
orbo di pioggia ostile,
più non respiro... soffoco
sepolto al sen d’aprile,
e quest’aprico loculo
mi seppellisce in ciel.
Piovo gemendo in bilico
stille di sangue impuro,
e ‘l cor sorride estatico
al nembo torvo e oscuro,
e allor mi vola l’Anima
a un prato pien di miel;
e sento poscia stringermi
da man di foco ‘l petto,
e l’aspre arterie pulsano
a un volto senza aspetto,
mi danno un bacio i turbini
e i palpiti in delir...
e l’orojoul ne scalpita
tra ‘l Tempo e tra l’Eterno,
tutt’è memoria angelica
e bianca come ‘l verno,
e intendo all’occhio un cucciolo
di serico desir.
Voce dal Ciel incognita
mi mormora alle tempie,
sìccome l’Ebe, un calice
colma, e fors’anche adempie
un sommo e gran proposito
dal Trono del Signor;
e mi sussurra un cantico,
ne sceglie ‘l soffio e ‘l metro,
e sono versi duttili
di bronzo, e ferro e vetro...
e in cor m’accorgo, mancami
Iddio, mi manca Amor. |
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