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Era un meriggio d’un umido maggio.
Da’i negri nuvoli pinti di fumo
e dall’ignoto e mesto miraggio
d’orbo confine il cielo gemè;
e si versavano da quest’alti apici
le pioggerelle dall’acque di miele.
Come gomitoli, seta infedele,
quest’era un mare di fili; e dovè
spremere ‘l nettare fitto de’i nembi,
in cielo i lampi, ovunque cascate...
ed orbo era l’aër, colmo de’i grembi
d’acqua materni; e i venti soffiâr
una e più volte, e tristi ululavano,
e orbati muri s’ergevan di pioggia
lungo i bei vicoli fattisi roggia,
e cupo ‘l tòno n’andava a gridar.
Un’ombra... un volto! Tra’i fil di mare
stava un’incognita larva invisibile,
dianzi ai palagi; e parve annegare,
orbarsi a morte, e poi riapparir...
ed era tremula, fioca e l’effluvio
baciava, ed era un’orma di donna,
il pizzo fradicio della sua gonna,
incanto dolce d’indubbio avvenir.
Danzava, e allegra facea giravolte
e da’i capelli sì biondi le gocciole
scendean dell’acque piovane e le molte
molli carole spiccavano ‘l vol;
e ‘l suo bel crine, di piogge rigagnolo,
moveasi estatico a passo di danza...
al molle labbro un sorriso, esultanza,
agli occhi azzurri la luce del Sol.
Apparia... un attimo... ‘l nulla e svaniva
oltre le siepi del reo temporale,
poi riappariva, e bella e giuliva...
sempre n’andava contenta a danzar.
La ballerina prima in sur dell’Opera
era, e Judith si faceva nomare,
vivea qui a Vienna, e ‘l Ciel tutelare
degli avi suoi ebraici volle pregar;
ed era giovine, e dolce e graziosa,
nata pel Bene che infiamma ogni popolo,
ed era bionda qual fresca mimosa,
e s’addestrava per esser Giselle.
Ma ché d’origine ebraica ell’era,
poco godeva di giusto rispetto
e la plebaglia subiva, e la fiera
possa impetuosa d’un rigido Ciel;
e pur lontana da’i ghetti terribili
aspra e diversa, eretica e arcigna
era pell’Austro, pe’i colli e la vigna,
e la sua Patria perfin l’obliò.
Un ballerino - dell’Opera anch’esso -
ella adorava sentendone Amore.
Un dì l’incognito del cor oppresso
ella comprese e a lui confessò.
Si fidanzâr, ed allegri s’amavano,
ed ella ognora gli ergeva un pensiero,
e a lui pensando danzava e ‘l sincero
e quieto palpito andava a goder;
e in tal meriggio null’era cangiato,
ella ballava per lui tra le folgori,
e la Giselle dovevano, o Fato,
danzar insieme tra’i giuri e ‘l mister.
Ma una gelosa madama viennese -
l’arcigna Aloise - Judith contrastava,
ed era l’arida figlia ch’odiava
d’un baldo musico, cruda in viltà;
ed era bruna qual fiamma notturna
d’un Nulla in spasimo, e verdi i suoi occhi
eran com’erbe di tomba, d’un’urna,
sibbene amena, fu insana beltà...
e sempre ‘l misero speglio portava,
tanto invidiosa, in sulla sua destra,
e di malizia pur era maëstra
e tanto povera nel truce cor.
Anch’ella in danze crudel dilettavasi
come in tenzon coll’àltera fanciulla
e folle ed avida sempre beävasi
di lei che in seno destavale Amor,
ché Judith bella in segreto piacevale
quando al suo lisco piede al suo bel seno,
e ai snelli fianchi posava ‘l baleno
d’un guardo ardente, e al labbro un sospir.
Ma ben celava tal saffico istinto,
e di Judith sol bramava lo sposo,
ed in sue trame volea farlo avvinto,
eppur incerto le andava ‘l desir,
ché di rival non volea far la vece,
anzi del giovine, sicché baciare
potuto avesse la dama e temprare
l’aspro suo petto col dolce suo sen,
ed ogni giorno l’invidia accresceva,
e Aloise infame in cor impazziva,
e un crudo dèmone tetro l’ardeva
e d’Odio bruto costei era pien.
Quando un meriggio la scorse ai giardini
col dolce amante, e quando la vide
sì bella e nobile, e quando le fide
sue man prendevano le mani e ‘l cor
del lieto giovine, quando danzavano
sopra i papaveri, quando in su’i cardi
quieti e contenti e casti giravano,
giuri scambiandosi d’eterno Amor,
e quando scorse il roseo suo petalo,
labbro di carni e molli e sottili,
che in sul velluto trapunto a bei fili
dava pii baci al gaudio fedel...
quando ‘l carnoso baciar si sognava
alle sue labbra, all’ombra del Sole
- fuga di danza - e quando desïava
del bacio istesso un limpido ciel,
l’infame Aloise pensava ad un crimine,
e cieca e orribile tramò un agguato,
corruppe un ussaro e far soffocato
di Notte volle... il cor suo rival.
Ma la sua vittima ‘l giovin non era,
bensì la dama... la dama che spesso
viaggiava lungi sul far della sera
colla carrozza da’i bruni caval.
Passâr i giorni, passarono gli umidi
freschi meriggi danzanti sull’acque.
Judith n’andava una sera che tacque
cogli aspri tòni, da Vienna lontan.
Sen stava sola, in sulla carrozza,
un de’ suoi fidi trainava i destrieri,
e l’abitacolo tra luce rozza
la nascondeva nel bujo sovran.
Giunse la Notte; e a un tratto i cavalli
mesti fermarono l’agile trotto,
s’udîr le grida d’un uomo ed un botto
d’una pistola i nembi ferì...
e Judith pallida ed ansia tremava,
cercò nascondersi sempre all’oscuro,
ma un reo Dragone le porte forzava,
con gran furore, e alfine le aprì.
Prese la dama pe’i biondi capelli,
la scagliò a terra mentr’ella strillava;
poscia rialzandola in sen le impiantava
l’aguzza sciabola, e la trapassò.
Ella cadeva, col labbro di sangue,
le sue pupille velavansi a Morte,
cadde su’i ciottoli dell’orrida angue,
e poscia un attimo ai nembi volò;
e ‘l suo assassino le tolse la spada
dal cor sì rigido e tosto fuggiva,
e alla fanciulla un sogno avveniva
in sulle sfere de’i candidi Ciel.
Vide una dama che dissele in grazia:
«Donna insepolta, ascoltami e giova!
Poiché d’Amore qui più non sei sazia,
poiché ti colse tremendo l’avel,
mi manda ‘l Ciel ché tu possa una volta
ancor godere del fido tuo amante.
Dell’alte Villi la diva hai davante
che un incantesimo tosto farà.
Potrai danzare un ultimo ballo
col tuo bel giovine. Ma lo rimembra!
Se non v’è croce, qual Cielo ben sallo,
anch’egli, o misera, anch’egli morrà».
E detto questo, tra stuoli d’Arcangioli
e d’albe Villi, le fece un incanto;
e tra profane fanciulle e in sul santo
foco de’i nuvoli a sé la chiamò...
e un filtro etesio di Luna e di nuvola
e d’erbe magiche al labbro le porse,
e Judith bevve contenta in sull’ugola
e tra le Villi allor s’involò.
Soggiunse ‘l vespero del gran balletto,
dove i due amati doveano incontrarsi,
e con stupor dell’Aloise e de’i sparsi
sguardi assassini Judith si vedè,
e tra le danze d’Adàm rimirava
l’amato ignaro dell’aspra sua Sorte,
e dianzi al pubblico lieta ballava
tra’i plausi e gli urli d’immensa mercè...
e giunse l’ultima scena drammatica,
l’estrema danza d’un spettro di carni
tra l’ossee Villi, tra’i volti sì scarni
e in sul morire d’un sogno in beltà;
e in sulla croce Judith si moveva
stretta al torace del giovine amato,
i piè danzanti... il ciglio piagneva,
spento sul fiore di piccola età.
Disse allo sposo con debile voce:
«Se mio tu sei, deh, chiudi ‘l tuo bel ciglio.
Io danzo! Seguimi, e accetta ‘l consiglio
ché ancor godremo per sempre d’Amor»;
ed egli ignaro accolse ‘l desiro,
il ciglio chiuse, non vide la croce.
Ahi, venne l’attimo! Con un sospiro
di un’aspra orchestra Judith sparve allor.
Ei cadde a terra, tra gli ultimi plausi,
e poi dolendosi andava a morire.
Cadde ‘l sipario in sul dolce gioire
di tutta l’Opera, ed essi svanîr.
Gridava ‘l pubblico: «Uscite, su, uscite!».
Ma i ballerini mai più si mostravano;
e Aloise infame, qual ebbra di vite,
gridò pallente: «Coloro morîr!». |
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