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Sono una goccia rapida
di neve etesia e chiara
che cade in mezzo ai turbini
in sulla terra amara
e sono ‘l ghiaccio languido
che requie più non ha;
e son la gemma gelida
del ciel che ‘l tosco piove...
che tempra mesta gli alberi
laddove non si mòve...
e son le lagne e i gemiti
di chi sognando va.
Mossa la fiamma tremula
del sogno ignoto e molle,
erro tra’i cupi fulmini
della tempesta folle,
e in mente pingo ‘l cespite
d’un morituro fior;
e scorgo in cor i teneri
gelsi ridenti e bianchi
dove gli stami e i petali
mi dicon che mi manchi...
dove ‘l cosciente palpito,
ahimè, ti tolse Amor.
Soffoco mesto e l’incubo
mi strazia l’alma e ‘l petto,
e la coscienza timida
di pianto terge ‘l letto...
e non mi dà la lagrima
la speme di dormir;
e l’ansio spirto lagnasi
come un ruggente lupo
quando sul pioppo orribile
il gufo canta cupo...
e l’occhio insan d’un dèmone
m’avvolge di delir.
Sciolta la chioma in tenebra
al vento in furia alzato,
spenta la tetra collera
del core addolorato,
mentre dal cielo nevica
e ‘l ghiaccio errando va,
la cheta dama libera
un guardo al mio diretto
ed è pur pien di fascino,
d’ignoto e di sospetto;
ed è la fiamma piccola,
e l’amo e lei nol sa.
Canta in sul ciel la nottola
che stringe l’alto artiglio,
e questo sogno pallido
diventa come un giglio...
e la fanciulla incognita
mi schiude un bruto avel;
e l’ossa ardenti e ‘l cenere
del mio fatal errore
copre di zolle e polvere
e uccide pur l’Amore;
ed io non son che un martire
che muor a lei fedel.
Cade la neve e l’umido
nembo divora ‘l Sole.
Come un sottile e rorido
mazzo di belle viole
scende leggera e morbida
la brina in sul suo cor;
e le accarezza ‘l viscido
raggiar del suo bel crine,
scende dall’occhio vivido
che parmi senza fine,
e dalla bella iride
al sen si posa e muor...
e questo fiocco esanime
dilata un bacio al vento:
io son la neve impudica
che cade incauta; e a stento
le stringo ‘l core esausto
che più sospir non ha.
Grida la fiamma indocile
all’eco orrenda... e pena
questo mio cor che celibe
si fere l’empia vena;
e questa brina sibila,
si scioglie e se ne va.
Scorgo nel core i ruvidi
cardi dementi e secchi
dove le felci in cespiti
son l’ugne e sono i becchi
d’una tremenda aquila
che va a rapir i fior.
Spenta la fiamma immobile
del sogno odiato e oscuro,
corro tra’i crudi turbini
d’un duol che più non curo;
e in sulla Notte femmina
mi lagno sol d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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