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Viva la festa che riempie le strade,
dove le nacchere sonano folli!
Vivan le maschere che più non molli,
oh Carnevale, ridente splendor!
Vanno i bambini a farsi le farse
tra’i bei coriandoli che cadon giù;
e van i giovini laddove l’arse
un dolce Amore che grida ancor più.
Sònano i pifferi, i gaudi tamburi
come in battaglia; ma tacciono l’armi,
e sono Indiani, e spose e gendarmi
le mille larve che ridono ancor.
Viva la festa che rallegra gli animi,
dove gli zufoli gridano pazzi!
Vivan le maschere che vanno a mazzi
per queste strade sìccome de’i fior!
Col seno coverto da bianco lenzuolo,
col bianco di sposa ridente banduolo,
col volto solcato da baci e sospir
la dama gentile si vela ‘l bel ciglio,
lo copre di seta più bianca d’un giglio,
si mette una larva, farfalla in delir.
Volto lo sguardo timido
al mio ridente aspetto,
rosse le labbra e docili
fonti di caldo affetto,
sene va via col libero
viso che cerca me.
Dal core colpito, dall’ansio pensiero,
dal tolto respiro, dal senso leggiero,
dall’alma spronata a gesta d’Amor
men vado a seguirla, le seguo i bei passi,
la bramo baciare, placare i miei lassi,
le colgo tra l’erbe un nobile fior.
Ferma la fuga, o rapida
cara fanciulla e speme.
Qui ti raggiungo, è l’attimo
che ci parliamo insieme
e quest’Amor è l’iride
che solo io veggo in te.
Col labbro contento, col guardo ridente,
col spiro irrequieto del petto gemente,
coll’occhio segnato da dolce desir
ti fermo di colpo, ti prendo la mano,
ti bacio le dita; e nulla è più invano,
ti dico che t’amo tra mille martir.
Fanciulla, fanciulla
non senti ‘l mio cor
che grida e s’annulla
nel sogno d’Amor,
ed io m’avvicino,
e poscia m’inchino...
Fanciulla, fanciulla,
ed io m’avvicino!
L’Amore!
Duolo! Nessuno è ligio all’Amor, manco noi!
L’Amore è un sogno,
è van deliro,
duolo e sospiro
che ride e beffeggia,
istrione vegliardo
col guardo bugiardo
e sempre dileggia
la stirpe dell’uomo.
Trema! Confida!
È un perfido atòmo.
Che Amore?
Dolore,
avello
dove si chiude
un nero verme
suggello
d’un blando germe
ch’irride le posse,
le forze del ciel.
L’Amor è dunque eterno?
Forse!
È ‘l Ciel? No.
È l’Inferno? Nemmeno.
È un Dio? Neppure.
No, non è questo l’Amore
pena e martiro del core...
No, non è questo l’Amore,
simbolo d’empio dolore!
Cos’è dunque l’Amore?
È una parola.
È trista fola
allora l’Amor!
Fanciulla, fanciulla
è solo dolor,
che tristo m’annulla
e quest’è l’Amor,
ed io vado altrove
e non mi commove
fanciulla, fanciulla
quest’empio dolor!
Viva la festa che riempie le spemi
di vani sogni ch’uccidono ‘l core!
Viva la maschera che spira Amore
lungo le vie che strangolano i fior!
Vanno i bei pargoli gl’ischerzi insani
a tesser blandi del tempo che fu;
fuggono lungi le bianche tue mani
e non ti veggo d’accanto mai più.
Fanno i bambini un salto ridente,
io sol qui piango, il cor mi percòto.
Ella mi fugge... e resto qui immoto,
tra mille strazi il core sen muor.
Viva la festa che strugge ‘l mio volto
coll’empie lagrime, col pianto osceno!
Viva la maschera che copre ‘l seno
di questa dama e ‘l dolce suo cor! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Lo schema è: ballata inziale; piccola ode in stile manzoniano; arietta, riflessione poetica ripresa dell'arietta a mo' di Boito; ballata finale e chiusura. Pazzia o genialità?... PS. l'idea mi è venuta ascoltando il Carnevale di Schumann, laddove il grande musicista "copia" lo stile di F. Chopin e di N. Paganini.» |
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