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Gl’occhi m’acquieto sul far della Notte
e corro agl’incubi mesti e bugiardi,
e sogno un calle di rovi e di cardi,
e un volto ameno di giovine età.
Sogno una donna passata al recordo
d’un niveo giorno che strusse ‘l mio cor;
ed è la morbida spene d’un sordo
e tardo e inquieto e incredulo Amor...
ed è la cerula guancia inviolata,
l’iride in fiamme d’un occhio acquitrin...
ed è la limpida chioma bramata
soffice e bruna d’un bianco destin.
Sogno una dama che parla al mio spirto
d’in sulle labbra che stringer non so...
ed è una Musa coperta di mirto,
ed è ‘l sorriso che un dì mi beò.
L’alma mi cullo nel cor della tenebra
e volo ai rapidi sogni del core,
e lento soffro per possa d’Amore
e mi recordo di questa beltà.
Sogno una donna lasciata al passato
d’un freddo istante, del verno rigor;
ed è una vittima del bieco Fato,
ed è la fonte d’un truce dolor;
ed è una guancia, e mia non è mai stata...
ed è una lucida spene in delir.
Sempre la sogno... la chiamo amata,
ed è sol palpito del mio respir.
Il cor mi sazio al chiaro di Luna
e gemo ai tremuli visi del sonno,
e queste pene per sempre mi ponno
negar le lene che ‘l core ancor ha.
Sogno una dama che tanto mi piacque
tra’i nivei fiocchi... e i gelidi fior...
ed è la bruna ch’ignara si tacque,
e ‘l cor per questa nel petto sen muor;
ed è la Notte che spegne le stelle,
che in sulla Luna repente ricade.
Sappilo: io t’amo! Ma è certo pietade
quel che tu neghi, a me istesso pietà. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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