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Seggo com’ombra sul ceppo d’un pruno,
e con un gemito ‘l guardo s’erige
all’orizzonte immenso; e una strige
sente l’orecchio, un canto spettral.
Scorgo com’aquila d’in sulla vetta
l’orba contrada e ‘l fosco giardino
e ‘l spento stame d’un fior che piccino
muore nel verno; e l’aër glacial
le vene stringemi... e ‘l ciel s’oscura,
s’annebbia e tace... e poi s’addormenta
in sonno pallido... Or mi tormenta
l’ombra beffarda d’un mur; e non so
cosa nasconda. La nebbia perdura,
e nulla scorgo... e requie non ho.
Un mar di spettri che spirano ansiosi
su’i lor sepolcri sta fuor del muretto,
e sento i tremuli pianti, e l’aspetto
m’è chiaro e ignoto di tutti costor:
è bianco e indenso e privo d’un corpo
e fatto d’avida tela d’un ragno
che lesto danza su’i sogni; e mi lagno
sull’orma pallida del mesto cor.
Quest’è la bava di chiocciola ansante
pel regno celibe dell’egra Notte...
e s’alza e balza... si sdoppia e va a frotte
lungo ‘l sentiero del perso mio spir;
ed è la giostra d’un candido infante...
s’estolle e scende, a mai sa morir.
Fuor del muretto v’è questo segreto,
ed io nol colgo, e piango per questo
e son orbato di speni, e son mesto...
e sono un palpito che ‘l vuol sognar.
Scorgo l’impronte de’i rami de’ pioppi
e d’una quercia; ma bruta ‘l divora
l’aura che timida li copre ancora
colle sue nebbie che non può lasciar.
Sembran le vele, le formide cime
di mille e foschi e spettrali vascelli...
ora li veggo, tra gl’alti arboscelli,
ora li ignoro... e mai li vedrò;
e tanto ho freddo nell’aër sublime
ch’al par di loro qui presto morrò.
M’ha detto ‘l core che fuor di quel muro
si cela giovine una fanciulla;
ed è la Notte... è tinta del nulla
d’un sogno flebile che mi ferì.
Al raggio etesio dell’esile Luna
mi mostra ‘l bruno e splendido crin;
m’incide un sogno sul cor d’una runa,
ed è tal incubo Amor senza fin.
Ahimè, la prendono le nebbie infami,
più non la sogno... e più non la veggo,
e morte atroce nell’aër le leggo...
più non esiste colei che morì.
M’ha detto ‘l core che fuor di quel muro
si cela un frutto dell’egra mia mente...
ed è la fosca... e non è più niente,
la Notte femmina ancora fuggì.
M’alzo com’anima dal ceppo freddo
e fuggo ‘l sogno, e in casa men torno
e scorgo l’erba e l’acero e l’orno
colmi del pianto che mesto versai;
e queste lagrime saranno nebbie,
il muro atroce fia presto inghiottito;
e colui sono ch’avrà sol patito
per un ignoto che solo sognai!
Oltre ‘l muretto... ed oltre me stesso,
oltre le timide... e spente speni,
oltre i miei sogni sol tu sei che vieni
al mio cospetto, tremendo dolor;
e son illuso... e sono dimesso,
e son la nebbia d’un misero cor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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