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Infuria ‘l verno. La Notte e la Morte
truci si sposano... e ‘l vento alacre
spira meschino, e copre le sacre
pietre d’un Tempio; e ‘l fosco castel
vicin si slancia dall’aride cime
ai nuvol grigi... e scruta i dirupi,
e intende cupo le strida de’i lupi,
e piange istrione le nebbie del ciel.
Ignude querce, col corpo vibrante
agl’elementi, lo coprono oscene;
e tutt’intorno, senz’ombra di bene,
le brume fosche sen vanno a soffrir,
e s’ode l’eco nell’aër spasmante
ripeter l’urla d’un bieco morir.
Ir va trottando l’infame Templare,
bianco è ‘l destriero... la croce è una vampa,
e tanto l’aura il son della zampa
ferrea ripete al nembo che muor.
Fuor da una sacca si veggon le chiome
che all’aër soffiano ràpìte in duol;
e l’albe gemme ondeggiano come
onde del mare che infrangonsi al suol.
Vuol questa vittima fuggir lo sgherro,
e grida e sbraita... e prega e si pente;
ma presso ‘l monte nessuno la sente,
ed è dannata ad eterno dolor.
Or la nasconde l’orrendo Templare,
e va al castello con celer galoppo;
e in sul portone un monaco zoppo
prende la preda e la fere nel cor.
Orror!... La Notte quel calle divora,
copre l’impronte del formido eccesso;
e pur dal nuvolo quel ch’è successo
sembra ignorare... il Nume in sul Ciel.
Quest’è la rocca degl’empi assassini,
e gl’astri ardenti son occhi d’Inferno,
e l’aspra Notte... e ‘l gelido verno
lì son di Sàtana gl’empi fedel.
Echeggia al cielo un cor che salmodia...
che canta ligio al Calice santo;
e ‘l prete prega, congiunto ‘l suo guanto
col sangue terso, tra mille delir...
e dalle celle s’ascolta chi l’odia
gemer in strazio, con spenti sospir. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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