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Pell’eco dell’aër l’umide vette
de’i nivei monti riportan i gridi
che da’i bei corni rifuggono; e ai lidi
le nevi mescono all’epa del mar.
La cornamusa risponde al richiamo
e i mirti e i cardi di fascino chiude;
e vien la Notte che celtica illude
la Silfe tremula che va a sognar.
Ora la Luna, ch’è bianca qual Villi
ossee nel volto, i druidi consiglia;
e d’una perla la liscia conchiglia
specchia e lo spirito d’un pescator...
e tra’i sepolcri ch’emettono stilli
del prode scoto ravviva l’Amor.
Ora irrequieti... i venti nel celtico
ballo de’i limpidi e forti elementi
cantano in coro... e volan furenti
pe’i boschi osceni, pe’i foschi sentier;
e grida il lupo che pur fere i nuvoli
mesti e nebbiosi del cielo in tempesta...
e l’astro piagne scontento alla festa
de’ bardi alteri... del fiero piacer.
Poscia la Notte sìccome un soprano
canta le formide ombre de’i mostri,
e l’aspra Morte... e i tremuli rostri
dell’aspre nottole... l’eternità;
e ‘l vento corre... sì, corre lontano,
e pure l’eco non sa dove va.
Ma nel silenzio dell’arpa de’i Celti
che nessun trillo pell’aër più manda
viene sì mesta dal lido d’Irlanda
una canzone sonata a violin.
È un molle canto sì dolce e nostalgico
che un queto bardo ritempra all’ignoto;
e qui ripete d’Amore un pio voto
all’Iri bella... e dolce... e divin.
Allor qui sento la dolce ballata...
i molli detti del bel ritornello,
e intendo poscia che quel violoncello
già vola a dir: «For your eyes this Poem I do»;
e per finire risento all’amata
che ‘l bardo sclama: «Oh Moonlight!... Nice art Thou!». | 
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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