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In ciel, nel manto dell’agate brune
e della soffice Notte, nel mezzo
di lapislazzuli, io veggo - e mi vezzo
del suo candore - la Luna salir;
e scorgo e ammiro, com’oro che cola
sur d’un torrente che veste di lutto
le sue scintille ch’avvolgono ‘l frutto
d’un sogno inquieto che vuole dormir.
Allor sul cerulo corpo del cielo,
tra’i molli serti ch’ogni astro sì intreccia,
fere la Luna i nuvoli; e una breccia
di luce candida vola a mostrar...
Ed è ella un cigno che danza sul velo
d’un queto Cherubo, d’un ansio mar.
Il bianco suo etere, dunque, fia l’ala,
l’alba sua forma è ‘l celer sembiante...
il dolce fascino suo, che brillante
trilla pietoso, l’allegra canzon;
e l’aër fuso nell’ôr del suo foco
che poi s’irradia ai nembi vicini
è la sembianza de’i bianchi pulcini
che lei, la madre, seguire pur vôn.
Vanno contenti pell’onde de’i nuvoli
e lieti danzano in abili modi
e colle danze conquidono i podi
che l’astro ardente prepara per lor;
e sono cari... e sono bei nugoli
e ‘l ciel si riempie del loro mador.
Ora la madre, la candida Luna,
grida un arpeggio di seriche stelle...
e come vedova, piagne; e le belle
ale dorate si tingon di ner...
e l’acque, lagrime d’un core affranto,
piovon su’i rivi baciandone ‘l flusso
e come corde d’un cembalo in lusso
sònano funebri un bieco mister.
Tutt’è la Luna: il lago e la gora
che come speglio le specchiano ‘l volto...
i boschi e i fiumi, i poderi; e molto
cerca tal pietra un’ombra che fu.
Ella dispera; e segue tuttora
l’ombra del Sole che non l’ama più. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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