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Era una languida furia... una belva...
un tigre infame da fauci sì altere,
e colle reclute l’alte maniere
sembrava ognora malvagio iscordar.
Era ‘l suo volto coverto di veglie
pustole fredde... di calli vegliardi,
e ‘l labbro irsuto chiamava codardi
i giovin prodi cui stava a insegnar.
Brage d’un diavolo parea ‘l suo ciglio,
eran d’acciaro perfino i mustacchi;
e crudo urlava a quei sì vigliacchi...
a quei che scemi sen stavan d’ardir.
Sempr’era rigido, ognor sull’attenti
come d’un monte la fervida cima...
Dava gran ordini tristi; ma prima
iva i suoi forti col detto a ferir.
«Siete soltanto madame sì imbelli,
donne impaurite d’un arabo haremme»;
e poscia urlava un mar di bestemme
contra le bestie, gli uomini e ‘l Ciel.
Possa d’un fulmine era ‘l suo sguardo,
era ‘l suo core una fredda neviera;
e ‘l muso osceno dinnanzi alla schiera
giammai premiava ‘l valore, lo zel.
Era un crudele... un bruto tiranno
senza l’impronta d’un po’ di coscienza;
ma fulcro ostile d’indegna violenza
picchiava i prodi, perfino i compar.
Per una macchia sull’aspra uniforme,
per una scaglia sur d’una spallina
questi metteva all’acre sordina...
un giovin forte facea fucilar.
In pieno verno, tra l’orride nevi
correr faceva co’i modi più rudi
i suoi soldati che a petti sì ignudi
freddo pativano e tanto spiacer;
e poi insultava, vergava i più lenti,
né coi veloci sen stava gentile...
ei sol pensava di starsen virile
infra quei siri che stava a veder.
Era una sera; e poscia ‘l banchetto
ogni soldato entrava in ria tenda
quando de’ gemiti, angoscia tremenda,
a questi giovini tristi s’udîr;
e dal tendone del bieco tiranno
il pianto istrano repente veniva
tanto furioso che già incuriosiva
tutti gl’orecchi che lì lo sentîr.
Allor un forte andò dall’infame,
chiese che v’era da piagner; e dopo
tornò ai compari e disse che un topo
il lor sergente sen stava a turbar...
E poscia istanti s’alzava uno sparo
che l’aër cupo copriva di pena;
e quei soldati sì debil di lena
quel truce pianto non più ascoltâr.
«È morto ‘l topo» lì dissero alcuni
«andiam a letto ché all’alba ci tocca
quel tigre oscuro ch’insulti alla bocca
ha sempre bruto dinnanzi al valor».
Allor il sonno trionfò su que’ militi...
Ma in suo tendaggio giaceva ‘l sergente,
morto suicida colpito alla mente
con alla destra un messaggio d’Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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