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Per vie remote, pe’i rustici valichi
de’i cheti calli ramingo cammino
ed erro all’ombra d’un pioppo, d’un pino
come da giorni son solito far;
quando molesto intendo che l’etere
col vento spira facendosi rosso...
e miro lingue di foco commosso,
e ‘l core ansioso comincia a tremar.
Veggo le nubi che pingonsi in cielo
e d’acri fiamme... e tossica veste
e d’aspro fumo; e scorgo funeste
venir l’indocili grida. Non so
ond’esse salgano col foco imbelle
ch’arde l’ignoto nel flebil concerto
d’orde sì crude che predano ‘l serto
vinto di Russia che debil scemò...
Ma l’urla s’alzano sempre più triste
e ‘l ciel ammiro che l’alba fa fosca,
e intendo in core che presso sta Mosca
e che la Patria sen vola a bruciar.
Il nuvol bolle tra l’aër che brucia
il sangue agl’Angeli scossi d’affanno;
e ‘l Nume piange... e i Cherubi vanno
tra l’alte fiamme le genti a calmar
e i vecchi e i pargoli, le dolci madri
e l’albe spose... e ‘l foco che gira.
Essa fu... Mosca... Adesso è una pira
che regge e templi s’impegna a lenir.
Parmi l’Inferno, teätro satanico
ove tra i cigni sen muor la Fenice
col molle passo di danza che dice
«Oh bianchi bardi per voi vò a morir!»;
ed è la musica ‘l canto guerresco
e ‘l blando acciaro del bruto invasore...
e ‘l plauso è dato da grida e terrore
che sgozzan fieri le nubi del ciel.
Danza, o Fenice mistero di foco,
l’eterno passo sul cener tuo spento...
danza ché presto coll’ultimo stento
la requie attesa cadrà sul tuo vel!
Ma questo ballo... quest’arido passo
poco più importa a chi l’aër non sente
ché l’orbe è fiamma e l’opima mente,
d’etere ignuda, s’arrende e sen muor;
onde gl’incendi da diavol si vestono
in bui miraggi coverti di larve...
e già furioso quel diavol m’apparve
sicché ora dico «Mi lascia... va’ fuor!».
Cener consunto di pietre, di legni
e resti ardenti si destano in sciami,
come dell’api che brucian su’i rami
spogli di fiori che cadono al suol;
e in fiamme corrono là verso i nembi,
e ronzan tristi pell’alta atmosfera...
e qual insetti raccolgon la cera
de’i sciolti muri che spremono duol.
Or m’avvicino; e scorgo dal calle
un aspro mare di foco e di tede
che s’alza al cielo e a terra poi riede...
e balza ancora e scende tuttor.
Come uno speglio di frivolo diavolo
la Moskva oscena le fiamme riflette;
e brucia l’acque, le ripe dilette
onde si destano secchi i vapor...
E sento, o lasso, le grida di madri
che i bimbi piangono morti per mano,
e ‘l gran fetore del cener umano
che più placarsi non riesce e non sa;
e son le vittime tanto innocenti,
umil di popolo che ‘l rege nega...
ma lì i possenti e l’abil stratega
più non vi sono ché fuga si dà.
Ardon le chiese, le guglie dorate...
i sacri lochi d’un Ciel che ‘l sovrasta;
e ‘l foco ardente sen sta iconoclasta
i Santi e i Martiri lento a coprir.
Odo le trombe perplesse de’i Franchi
sònar la fuga per altro cammino;
e più non scorgo un premio, un bottino
per que’ malvagi che Russia colpîr.
Ma quanto costa l’ingegno de’ duci,
strateghi infami che giusti non sono!
Questi fuggendo di pugna al gran tòno
il foco oscuro tremendi appiccâr;
e lor son vivi... e i nobili e ‘l prence
salvi e lontani... e in altra cittade...
ed osan questi chiamar libertade
quello che veggo di Morte un reo mar.
Allor io scorgo pe’i nembi che coprono
di neve i fumi, un viso donnesco...
mesta mugnaîa che piagne sul desco
miser di pane del figlio che muor;
ed è vestita d’indocili fiamme,
e grida incinta... e invasa dal foco
e la sua Vita è desta per poco
per dir un detto d’un ultimo Amor. |
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