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Bianca la Vilia errava pe’i boschi,
la Luna nera pioveva singulti,
la truce Notte cadeva a sussulti...
Morte soltanto il cielo assordò.
Quell’era spettro di vergin trafitta
ch’errava ignota per cupo dolor.
L’altra una stella... la bella più invitta,
cesia e brillante e sfumata d’Amor.
Piangea, urlava la Notte; e ‘l suo cor
versava pianto sull’albe e spettrali
gote dell’ombra, sui labbri fatali
ove l’Amore di Morte parlò.
Povera Vilia!... Senz’ombra, senz’alma
senza più speni né cure sincere,
iva co’i nembi pell’ultime sere...
iva vêr lidi che mai non saprò.
Biondi i capelli ma tinti d’oscura
Tenebra infame; sì bianca la pelle
come sua veste... Ahi, come non svelle
ancor l’incanto che la maledì!
Ivi tra i sassi l’anello nuziale
cercava ansante; pel mesto sentier
volgeva mesta e l’occhio mortale
spento pregava prostrato in sul Ver.
Mai un istante, un istante sì fier
in quella selva il Nuvolo scorse
onde una croce al fine le porse;
e ivi la Vilia redenta svanì.
Ivi la tomba riottenne ‘l riposo.
Ancora ivi quell’anima palpita,
lagrima e grida... e fors’anche s'agita
ma dorme in Cielo che ‘l Ciel la rapì. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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