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Nell’incavato fusto di ciliegio
di capinera è custodito letto
ch’esperta costruito ha in mod’egregio
in loco ritenuto sicuro tetto.
Tenerissime fibre l’hann’intrecciato
con diligente architettura innata
da testa nera, con fare ricercato,
per schiudere le uova dell’annata.
Poscia, nel caldo, morbido lettuccio
depositò tre uova corpo grigio
sicura che mai avesse avuto cruccio
nè che suo cuore divenisse bigio.
Ma l’arbusto che non donava frutto
era d’impaccio all’animale eretto
che non sopporta non avere tutto
e demolendo il legno scassa il tetto
di quella capinera dolce e buona
che sotto già teneva tre nudetti
da poco della schiusa dei tre uova
di pelle ancora scura, i piccoletti.
Implumi ancora, sol boccuccia aperta
per quell’impulso di sopravvivenza
la testolina, fuori, all’aria aperta
cercano della mamma la presenza
che svolazzando nei d’intorni e presso
cinguettando, desolata, va piangendo
e s’avvicina e s’allontana spesso
e spaurita va dall’uman fuggendo.
Da mane dura andirivieni ardito
e pare che preghi: va! o uomo crudo
non vedi il nido mio com’è avvilito?
E’ sera, ormai, e a casa l’uomo va,
la capinera è sul morente nido,
un piccoletto afferra e vola e va
penzoloni altro trasporta al posto fido
torna e festante in becco stretto
l’ultimo tiene, ai fratellini affianca
sotto provvido e fortunoso tetto
e accanto giace, finalmente, stanca.
Quant’amore traspare in sì tal’atto!
Quant’affetto serba piccol volatile
quant’altruismo corpicino ha in petto,
quanta bontà, quanta dolcezza e stile. | |
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