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Scendeva la Notte. Gridava la selva.
Splendeva la Luna qual cupida belva.
Il canto trillava del docile grillo.
S’alzava un latrato, terribile squillo.
Scrutavo perduto nel gelido cor.
Il manto del cielo copriva le stelle,
il sonno cullava di vergini belle,
baciava le fronde d’un misero pioppo,
mòveva la danza in folle galoppo,
sentiva le doglie di rorido spir.
Quell’aspra preghiera di Morte protratta
da me, dal mio core, fuggiva distratta,
ruggiva feroce qual bestia notturna,
beveva dannata la polve dell’urna,
s’alzava furiosa dal livido avel.
M’alzavo dal sonno. Schiudevo la bara.
Struggevo la tomba, la lapide amara.
Tempravo furente la sete di donna,
volgevo veloce a candida gonna.
Piangevo… piangevo. Sentivo dolor.
Distesa nel letto qual vittima cruda
dormiva la dama più bella, più ignuda.
Sognava felice a seno scoperto,
pareva miraggio d’infame deserto.
Sentivo per essa gridar la pietà.
Ascosto da sogni le morsi la gola,
il sangue scendeva dall’anima sola;
s’empiva di linfa il letto spezzato,
si fece dolente il seno malato.
Un urlo soltanto!... Ed ella perì.
Fresca come vera, bionda come grano,
t’uccise il mio dente di Notte sovrano.
Quel ventre era puro, più casto del Cielo,
l’ho presto coperto di funebre velo
ché Norne tremende pietà non sentîr.
Su giovine labbro di sangue una goccia!
Si desta gridante la stridula chioccia,
il gufo si lagna annunzia spavento,
la goccia di sangue ricade sul mento.
Delizia d’Inferno! Natura d’orror!
È questa la Sorte!... Io sono un vampiro,
le vergini donne per sanguine ammiro.
Ricerco nel seno l’eterna salute,
ma sono assassino, le spemi perdute,
ché in Morte crudele si cangia l’Amor.
Mi colga per questo un raggio d’Empiro,
la Luce che porta color che salìrô!
S’estingua l’Oscuro dal tremulo cor! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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