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| Infuocava il suo volto, il sole.
Il viso,
gonfiotumefatto,
nido di mosche piangenti.
Il collo pendente
fluttuava sul palo,
non trovava posizione.
I centurioni aspettano,
arsi da calura,
indispettiti dalla sete.
Si, un po' d'acqua, pensò...
che darei per berne un sorso
le labbra,
cicatrici isolate,
non riuscirono ad aprirsi.
Non sento più le gambe
sono inerti
accecate sonnolente
imbalsamate dal dolore...
il sangue,
poco evidente,
putrido come neve sciolta nella terra
secco incrostato sul costato già morto.
L'uomo aprì gli occhi
ma non vide
una coltre ragnatelosa era calata...
non voglio morire, pensò.
Vita
ora che essa è in me
devo lasciarla...
provo' a stringere i pugni
ma i chiodi,
ricurvi nei nervi,
lo costrinsero in un buco d'acciaio fuso.
Cercò di urlare, ancora.
Una lacrima,
smuntapallida,
s'insinuò sullo zigomo destro
con la punta della lingua
ne saggiò la consistenza acida
sorrise, allora...
scosse la testa, esausto
con un barlume,
ultimo aggancio,
sognò la donna avvolta nel sudario nero
gridava FIGLIO MIO...
in quel medesimo stremato istante
il suo cuore si fermò.
Il suo ultimo battito
spostò una nuvola con morbidezza acuminata.
Uccellacci volarono via dispersi.
I soldati che lo calarono giù
giurarono che il suo volto era intatto,
eternamente pulito.
Sorrideva, ancora. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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