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Tanto opprimente è la nebbia ferina
che irta discende l'orizzonte a oscurar
dell'iride sventurata e meschina
che più non vede... che più non sa sperar
dianzi ai ripetuti, unisoni oltraggi
incisi a foco sulla mesta fronte
cui più non volgono i sogni e i miraggi
ma l'asprezze dell'angosce... dell'onte.
Gelido... denso è il nebbioso mantello
di questa cieca aura che cava gli occhi,
onde parmi ch'io giaccia nell'avello
che, dischiuso tra funerei rintocchi,
già il mio corpo adduce alle vaghe larve...
ai muti spettri de' sogni beffardi
ove la speme irridente un dì sparve
infra piacer vani e sensi bugiardi.
Allor respiro esalando l'affanno
da queste tremanti labbra smarrite;
e crudo vò additando il frale vanno
che già involò le spemi favorite...
i dorati... deliziosi conforti
che oggi invano sonan tra le preghiere...
tra le preci che sovra un mar di torti
sì fragili sono, e vane e leggere.
Oh cor mio! Solingo e dimenticato,
tuttora soffri spogliato di tutto,
lì... sotto il ciglio divertito e beato
d'un Fato che crudele ti fia strutto
nell'oblio d'un regno di nebbia avara
che l'alito tuo consuma vorace
per pascer la propria essenza che para
alteri istanti senza requie né pace.
Sì! Lamenti la mancanza d'Amore,
supremo impeto d'angoscia e dolore! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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