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Nel livido manto maledetto
dell'opprimente dovere
potessi almeno volgere'l guardo
alla mesta ombra vivente
che crudele abbandono per sempre
ne' muti segreti angusti
del mio augusto core d'amante
e che, ahimè, giammai rivedrò
vagar misterica dianzi al ciglio
che fors'anche piange per lei.
Sì! Potessi anche per un istante
fugace sìccome il Tempo
mirarti ancora, cara fanciulla,
e stringere il tuo core al mio
nell'abbraccio immenso della Notte
e nella vivida spira
dell'inesorabile Destino
che, sìccome estrema Sorte,
protende repente a separarci
senza requie, senza pietà.
Oh Sogno! Sogno ilare e tragico
che m'inebria opprimendomi...
che m'estolle scagliandomi a terra
infra la polve e le larve
donde m'assale con ansia orrenda
lo spasimo sovrumano
di quella dolorosa estinzione
che famelica qual fiera
l'ore divora del Tempo che fu
e con esso i bei recordi
e le dolenti stille di pianto
di quel pungolo nel core,
sì, del pungolo che mi commosse
l'immensità del sentire.
Ti veggo!... Mi sorridi gentile.
Frattanto odi agonizzante
infuriar impetuoso l'aer cieco...
il vento d'un Fato atroce
che già ci avvolge terribilmente
co'i negletti suoi turbini.
Eppur nel gelo di quest'inverno
che i sensi addormenta e agghiaccia,
avvinto sta il tuo candido collo
dal mancino gentil braccio
ch'a te porgo pell'ultima volta
in un istante sinistro
che giammai vuolsi lungi ritirar;
e la mia azzardata destra
pur rapisce la destra tua mano,
e l'eleva con estasi
dirimpetto alle mie ansanti labbra
desiose di coglier ancor
il gaudente frutto delicato
d'un innocente e pio bacio...
d'un morituro giammai sorto Amor.
Ilare immago! Oh mio gaudio!
Sìccome face nelle rie fosche,
sìccome Stella nel cielo
dianzi a me iscoppia la luce aurata
dell'acquitrino tuo ciglio;
e l'eloquente ebano gentile
olezza della tua chioma
alle truci carezze del vento
che arrossisce le tue gote...
le tue gote che mai più rivedrò,
che giammai cantare potrò.
Sussurrando sincere parole
di cui l'aer segna gli accenti
in grazie del suo gelido manto
che sìccome densa nebbia
li presenta al ciglio della Luna,
ecco allor che ci baciamo
avvinti per sempre, avvinti mai più
nel crudele e rio Destino.
S'incontrano bramose le labbra
protese al sommo diletto,
e desiose s'uniscono dolci
pur mordendo lievemente
le loro istesse carni gementi
dolorosamente unite
e maravigliosamente avvinte
nel crudo eco ripetuto
che, uscente dal loro dolce incontro,
urla dimesso- Addio-
e- Addio! – poi risponde. |
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